A volte la vita ci confronta con delle piccole morti che dobbiamo affrontare. Può essere il nostro bisogno di ordine e pulizia in casa, come la fine della benzina alla macchina, il lascar andare un progetto lavorativo su cui abbiamo investito molto o la delusione di un amico. La vita ci confronta costantemente con il fallimento di quelle idee che ci siamo fatti, e di come vorremmo che andasse il mondo; eppure rassegnarsi spesso è l’ultima spiaggia dove pensiamo di dover approdare.
Alle volte sembra quasi che il mondo c’è l’abbia con noi. Ci domandiamo: ̶ “Perché le cose non vanno mai come dovrebbero?” ̶ Vorremmo che filasse tutto liscio, che tutto andasse come prestabilito e invece l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Ma cosa ci ossessiona? Cosa ci spinge a voler aggrapparci a quell’idea che ci eravamo fatti? Cosa non ci permette di accettare l’imprevisto che la vita ci mette davanti? Perché alle volte siamo così aggrappati a persone, progetti o lavori da nevrotizzarci ogni volta che le cose cominciano a sfuggirci di mano!
Molto probabilmente ci è sfuggita una realtà inequivocabile, molto probabilmente abbiamo gestito la nostra vita nell’illusione dell’onnipresenza.
Dedicare tutte le nostre energie senza riflettere sulla possibilità che i nostri sforzi possano approdare ad un colossale fallimento potrebbe essere molto rischioso.
Poter rispondere alla domanda ̶ “ E se va tutto male cosa faccio?” ̶ può permettere di organizzare la propria vita su due fronti, la vita e la morte. È giusto spendere le proprie energie verso un progetto in cui si crede, ma è anche giusto sapere “quanto” si è disposti a investire del proprio tempo e delle proprie risorse nel rischio che tutto possa scomparire.
Sembra un ragionamento semplice eppure è estremamente difficile da metterlo in pratica e questo lo si osserva nella quotidianità.
Con la razionalità pensiamo di essere capaci di lasciar andare le cose, ma nei fatti vediamo che succede tutt’altro.
Per esempio, nel traffico ci angosciamo alla possibilità di arrivare tardi, mentre cuciniamo una cena ci innervosiamo perché ci manca un ingrediente, mentre andiamo al cinema ci agitiamo perché piove e la pioggia non ci farà vedere l’inizio del film.
Oppure corriamo con l’auto e guidiamo in modo incauto per la paura di non arrivare in tempo al ristorante.
Ci arrabbiamo con i colleghi perché non lavorano quanto noi. Ci sentiamo ostili nei confronti di chi è di un altro partito o di un’altra squadra di calcio. Ci sentiamo minacciati se amici o famigliari non intendono la vita come la intendiamo noi ecc..
Tutte queste modalità di porci nei confronti alle incognite della vita mostrano l’aggrappamento a quelle idee che ci eravamo fatti circa come vorremmo che andassero le cose. Non siamo disposti a morire, non stiamo disposti a fermarci a inchinarci davanti alla potenza della vita, della natura e di tutte quelle energie che decidono al nostro posto, e che in definitiva governano il mondo. Non riusciamo a fermarci e a rassegnarci al fatto che spesso “non ci resta che piangere”.
Piangere nel senso di poter fare piccoli lutti, molto spesso ci dimentichiamo che da un momento all’altro tutto può scomparire. Vivere con questo nodo nel cuore, vivere con la consapevolezza che da un momento all’altro, noi, le persone care, le nostre case e le cose a cui teniamo possano scomparire è difficile. Eppure allo stesso tempo è impossibile vivere nell’illusione che tutto possa durare per sempre. Che conflitto!!! Cosa fare?
In realtà non c’è una risposta, ci sono tante risposte quanti sono gli esseri umani che si sono posti questa domanda e hanno costruito la loro vita di conseguenza.
Le problematiche relazionali a mio avviso hanno a che vedere con le energie di vita e di morte, con quelle dimensioni che spingono alle relazioni e ai progetti (a voler dei figli, a creare un opera d’arte, a progettare un’azienda o trovare un nuovo lavoro) ma nello stesso tempo con quelle condizioni che tolgono forza alla vita come gli ostacoli agli intenti, i figli che non arrivano, i tradimenti relazionali e i problemi a lavoro.
Lao tzu maestro taoista direbbe che, noi esseri umani, siamo immersi nelle energie dello Yin e dello Yang, energie opposte ( passive e attive, femminili e maschili, di vita e di morte) che si confrontano e bilanciano reciprocamente e questo si vede in ogni cosa, mentre noi siamo ciechi alla stregua di pesci che non sanno di essere immersi nell’acqua.
Le problematiche relazionali hanno a che fare con tutto ciò che deve morire per ritrovare una nuova vita. Lasciar andare ciò che di vecchio è destinato a morire è l’unica possibilità di aprirsi al nuovo, di rivivificarsi con ciò che invece è fresco e ha bisogno di humus per crescere.
Aggrapparsi alle vecchie cognizioni può diventare fonte di estrema sofferenza, non riuscire a morire, non riuscire a fare i lutti tutte quelle volte che le cose non vanno come dovrebbero può nevrotizzare o addirittura far sviluppare sintomi in un individuo.
Attacchi di panico, ansia, fobie, depressioni, come conflitti e separazioni relazionali sono solo alcune delle eventualità che possono accadere se si mette la propria salute psichica nelle mani di qualcosa di esterno a noi.
Possiamo dipendere da un lavoro, e se veniamo licenziati entriamo nel panico.
Possiamo dipendere da un progetto lavorativo o di vita, e se ci ammaliamo e non lo possiamo portare avanti entriamo in angoscia.
Possiamo dipendere da una persona affettivamente, se questa ci tradisce è una catastrofe.
Dipendiamo da tutta una serie di cose che ci fanno vivere una vita comoda, vestiti, sport, strumenti elettronici, auto, computer ecc… e se vengono meno entriamo in ansia.
La dipendenza è il nostro modo di attaccarci a ciò che ci sembra importante; da piccoli l’attaccamento permetteva l’unione con la propria madre e da questo dipendeva la nostra sopravvivenza. Poi da adulti cominciamo ad attaccarci a tante cose che non sono vitali. Ci dimentichiamo la differenza tra ciò che è fondamentale e ciò che non lo è, e ci cominciamo a comportare come se tutto fosse indispensabile. A lungo andare questo modo di vivere ci conduce a uno stato di inquietudine, di malessere quotidiano, di ansia e di nervosismo che in realtà potremmo evitare.
Non riusciamo spesso ad realizzare quanto siamo schiavi di cose superflue, eppure le piccole cose che ogni giorno devono morire, ci danno la possibilità di sperimentare quei piccoli lutti indispensabili per stare bene.
Rassegnarci ai ritardi degli altri senza entrare nella rabbia e nell’ostilità, rassegnarci del traffico, rassegnarci della pioggia, rassegnarci del computer che non funziona è un primo passo verso quell’equilibrio tra vita e morte. Niente può vivere per sempre, ma tutto si può rinnovare. Per esempio conservarsi i documenti importanti in due dispositivi differenti può essere un modo per abituarci all’idea dei limiti dell’esistenza, anche un computer può lasciarci. È possibile prepararsi alla possibile fine delle cose, e se questo vale per le piccole cose è tanto più importante per quelle grandi, pensare di poter perdere una persona cara può dare la possibilità di non darla per scontato quando è viva.
I conflitti che nascono nelle relazioni spesso hanno come problematica questa incapacità di considerare la caducità dell’esistenza, le trasformazioni che questo può comportare nel bene e nel male. Questa necessità dover fare i lutti con idee e modi di essere che vanno adeguati ai cambiamenti che insorgono nella vita lo si può anche osservare anche nella relazione di coppia.
Una coppia dopo un primo momento di innamoramento deve riorganizzare il suo modo di essere coppia, così ad un certo punto deve un po’ morire. Arriva il momento in cui gli individui devono cominciare a trasformarsi e a venirsi incontro per crescere come coppia. Per evolvere e rimanere insieme una coppia deve affrontare tante piccole morti, ma queste la rinnovano, la trasformano e la mantengono viva e complice.
Quando questo morire e rinascere non può avvenire tutto rimane fermo e cristallizzato. Per esempio molte volte accade che un individuo si debba annullare per adeguarsi alle richieste dell’altro, uno non è disposto a condizionarsi e l’altro, invece, e disposto a fare di tutto purché non venga lasciato. Questo è un esempio in cui gli individui non sono disposti ad accettare la morte. L’individuo che non vuole farsi condizionare non è disposto a modificare il suo modo rigido di essere a costo di rimanere da solo, e dunque non riesce a mettersi in discussione. Non riesce a dialogare con se stesso e domandarsi se è più importante continuare a vivere come se fosse singol o, rinunciare a qualcosa, per stare vicino a una persona che gli può dare amore. L’altro rimane aggrappato a un individuo solo per la paura di rimanere solo, ma in realtà la solitudine sta nel fatto che non viene visto, o se viene visto, viene considerato un oggetto a uso e consumo. Questo è uno dei tanti esempi di modalità relazionale in cui ci si difende dalla morte. Una coppia ferma in una condizione che non fa evolvere nessuno; questa situazione può portare a profonda sofferenza. Se non si sta nella morte non si può stare nella vita, se non si accetta che qualcosa debba morire, non si può essere aperti a ciò che può arrivare. Ogni cosa ha una naturale evoluzione, è sano e naturale rimanere saldi e concentrati nei confronti di un obbiettivo, ma la tenacia di trattenere qualcosa che ci può sfuggire non deve trasformarsi in una schiavitù.
È necessario un equilibrio tra ciò che è importante e ciò che è vitale, tra ciò che è possibile e ciò che è sicuro. Alla fine, ciò che è sicuro, è che ogni cosa è destinata a perire, ma è anche probabile che viva per un buon lasso di tempo.
Vivere nel limbo, del “grazie alla vita per quello che ci dà”, e “dell’accetto, anche se a malincuore, per quello che ci toglie” è l’unica possibilità che abbiamo.
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Grazie dell’attenzione
Psicologa, Psicoterapeuta psicoanalitico
Dott.ssa Giulia I. De Carlo
Studio in: corso Gramsci 133, Palagianello (Ta)
tel 3201987812 email: giuliadecarlo@hotmail.com