Cos’è la PREPSICOSI? E perchè nel passato nacque l’esigenza di approfondire questa diagnosi?
Spesso si sente parlare di prepsicosi, ma la letteratura scientifica italiana in merito è abbastanza povera, anche perchè è un termine che è stato utilizzato prevalentemente dalla scuola psicoanalitica francese per differenziare una tipologia particolare di pazienti, che per le loro caratteristiche caratteriali, in un primo momento venivano classificati come nevrotici, per poi invece deludere le aspettative dei terapeuti relative alle loro capacità elaborative. Con questi pazienti, i terapeuti dopo una serie di scambi comunicativi apparentemente buoni, spesso si trovavano confrontati con l’inconsistenza delle loro elaborazioni. Di conseguenza più che elaborativi, queste persone, apparivano, piuttosto, essere accorpativi del pensiero dell’altro, e accondiscendenti su tutto ciò che gli veniva detto, senza mostrare un pensiero proprio. Questo stato di cose portò diversi autori, a voler approfondire queste personalità al fine di non incorrere nel rischio di trattare questi pazienti come nevrotici, e dunque, di applicare metodiche psicoterapeutiche non solo non adatte, ma alle volte controproducenti la salute del pazienti.
Oggi per prepsicosi si intende una tipica modalità di organizzazione della personalità. Diversi autori (Petrini, De Carlo, 2013) sostengono che con questo termine non viene inteso un vero e proprio disturbo, ma una organizzazione profonda di percepire se stessi e l’altro (l’oggetto interno) e dunque di interagire in seguito a quei introietti.
In questo senso la pre-psicosi rappresenta uno stile esclusivo di rapportare l’io all’altro (l’oggetto) nelle relazione che tra origine dallo sviluppo delle prime fasi nell’infanzia.
In particolare gli autori della scuola psicoanalitica francese (Katan, M.,1953) sostengono che la prepsicosi è un organizzazione della personalità che si formerebbe in seguito ad un arresto evolutivo intorno al secondo sotto-stadio anale del trattenere. Per questo motivo l’angoscia del prepsicotico di fronte alle difficoltà rientrerebbe nel registro della psicosi, e dunque, secondo un angoscia di frammentazione. Tuttavia queste personalità mostrerebbero di aver vissuto un attaccamento fusionale con il car-giver non del tutto tossico su cui, sembrerebbe che abbiano imparato ad appoggiarsi per mantenere un’integrità psicofisica. L’angoscia pertanto di frammentazione sarebbe di tipo relazionale ossia un’angoscia di frammentazione da perdita dell’oggetto interno.
E’ grazie prevalentemente agli studi della scuola francese psicoanalitica che è stato possibile approfondire questa tematica, che nella fattispecie si tratterebbe di organizzazioni di personalità che nell’apparenza mostrano un repertorio di comportamenti adeguati alle circostanze, ma che poi dopo le prime interazioni, lasciano il terapeuta deluso a causa di alcune anomalie del loro modo di relazionarsi. E’ frequente che alcuni terapeuti in un primo momento facciano diagnosi di nevrosi, cominciando un trattamento per questo tipo di disturbo ma a differenza delle organizzazioni nevrotiche queste personalità mostrano di non possedere capacità elaborative. Ta una seduta e l’altra, ben presto, il terapeuta noterà che non si stabilisce nessun insight nel paziente, e che questo si è piuttosto aggrappato alle parole che ai loro significati. Si tratterebbe di persone che prendono a prestito il pensiero dell’altro assumendolo come proprio, ma senza comprenderne il senso e dunque senza apportare cambiamenti nel loro modo di vedere quegli aspetti della vita che li hanno portati in terapia. L’aggrappamente all’altro è la difesa che loro attuano per non scivolare nel vuoto ano-oggettuale, in altre parole per mantere l’altro a portata di mano e sentirsi in una relazione. Per queste persone la mancanza nella loro vita di colui verso cui si sono relazionati li confronta con un vuoto relazionale che vivono con l’angoscia di disgregarsi. Questa modalità difeva dall’angoscia di frammentazione si realizza in un aggrappamento al pensiero del terapeuta che finisce per atribuire abilità elaborative a queste persone che non posseggono. Infatti se non si analizza il controtransfert e non si notano le anomalie di comportamento nel momento in cui si fa una diagnosi seguendo solo gli aspetti sintomatologici è facile sbagliare e non collacarli su livelli bassi del funzionamento mentale.
Infatti secondo il DSM-5, o l’ICD 11, che distingue i disturbi secondo le manifestazioni sintomatologiche (criteri nosologici), queste perosnalità quando entrano in crisi e manifestano disagio psichico rientrerebbero nei disturbi di personalità schizoide, dipendente e alcuni disordini paranoici, ciclotimici, la personalità ipomaniacale ecc., o altri tipi di disturbi dell’umore collocabili di solito a livelli apparentemente nevrotici ma che non contemplano l’angoscia di castrazione.
La modalità relazionale che queste organizzazioni di personalità attuano con l’altro imitano quell’investimento tipico delle organizzazioni nevrotiche, buttando funo negli occhi al perapeuta che potrebbe illudersi che possa trattarsi di un’organizzazione nevrotica. Questo a lungo andare comporta un grande problema nel trattamento perché, infatti questi individui trattati come nevrotici possono incorrere a rischi, che nel migliore dei casi non comporterà nessun miglioramento del loro stato, ma nel peggiore dei casi, può risolversi in uno scompenso di quel vacillante equilibrio su cui si poggia il loro equilibrio psichico.
Bibliografia
Petrini P. , Giuia. I. De Carlo (2013). Psiche e Cambiamento. Miti, percorsi e processi della relazione psicoterapeutica. FrancoAngeli
Katan M. (1953) Schreber’s prepsychotic phase, in J. Psicho-Anal., 34, 43- 51.
Grazie dell’attenzione
Psicologa, Psicoterapeuta psicoanalitico
Dott.ssa Giulia De Carlo
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