Lo “SPIRITO DEL TEMPO” e lo “SPIRITO DEL PROFONDO” sono due aspetti dell’animo umano che Jung sperimentò in se stesso. Di queste dimensioni ne comprese il senso nel suo viaggio di esplorazione nella sua interiorità, questa venne condivisa con il grande pubblico nel LIBRO ROSSO. Di conseguenza il testo rappresenta il viaggio di evoluzione personale, e fu scritto da Jung con la finalità di esortare gli individui circa l’importanza di intraprendere un percorso come questo.
Il LIBRO ROSSO di Carl Gustav Jung è stato chiamato anche ” Liber Novus” perché rappresentava un lavoro di rinnovamento della personalità. Infatti se vengono osservati i suoi contenuti, i viaggi e le visioni notiamo come esso rappresenti il prototipo del processo di individuazione quale era concepito da Jung, ossia il prototipo dello sviluppo psicologico individuale. Il Liber stesso può essere inteso per un verso come una raffigurazione del personale processo di individuazione sperimentato da Jung, e per un altro come un’elaborazione concettuale di tale esperienza in uno schema psicologico dotato di validità generale. All’inizio del libro, Jung ritrova la sua anima ed è coinvolto in una serie di avventure fantastiche che costituiscono i momenti di una narrazione progressiva. Egli comprende di aver servito fino ad allora lo «spirito del tempo» con i valori e i codici di comportamento che gli sono propri, ma che oltre a questo vi è uno «spirito del profondo» che conduce alla realtà dell’anima. Nel testo “Ricordi, Sogni, Riflessioni” Jung racconta come analizzando il suo modo di essere ritrovò in sé due nature contrastanti, che chiamò personalità numero 1 e personalità numero 2. Nel libro scrive che sin d’adolescenza amava parlare di sé come costituito di due personalità la numero 1 e la numero 2. La prima era il portatore della luce, ed la seconda dell’ombra. Il numero 1 vedeva la sua personalità 2 come quella di un giovane mediocremente dotato, pieno di ambizione, di temperamento irrequieto e di modi discutibili, ora ingenuamente entusiasta, ora infantile, ora deluso, nel profondo un misantropo. Dall’altro canto il n.2 considerava il n.1 una personalità caratterizzata da una morale difficile e ingrata, un peso da subire a causa dei molteplici difetti da essa posseduti come la pigrizia, una tendenza alla depressione, incline ad amicizie immaginarie, limitato, con pregiudizi, incapace di capire gli altri, vago e confuso. Secondo Jung il n.2 non aveva un carattere definibile, era nato vissuto, morto tutto insieme. Quando il n.2 predominava il n.1 si dimentiava di sé e veniva fagocitato in lui, di conseguenza Jung n1 percepiva in sè il n.2 come una regione di interna oscurità. Inoltre in suo essere n.2 fu quello che si sentiva in segreta armonia con il medioevo, personificato nel Faust e che traghetto Jung alla scoperta dell’alchimia. Nell sua autobiografia analizzando questi suoi modi di essere Jung concluse che i due Spiriti, (lo Spirito del Tempo e lo spirito del Profondo) corrispondevano rispettivamente a queste personalità numero 1 e numero 2, e i processi rappresentati nel Liber potevano essere visti come un ritorno ai valori della numero 2 in linea con i valori dello “Spirito del Profondo”.
Nel LIBRO ROSSO Jung espone l’idea che le visioni non fossero altro che la manifestazione dell’effetto sottoforma di visioni dello “Spirito del Profondo” su di lui. L’autore racconta nella sua autobiografia che le sue teorie psicologiche furono il frutto delle sue esperienze psichiche, e mette in evidenza che ci furono alcuni anni molto produttivi in cui emersero tante visioni e simboli. Per capirne il contenuto e ricavare delle leggi generali del funzionamento della psiche Jung le studiò attentamente per l’arco di tutta la sua vita. Infatti Jung a questo proposito nelle sue memorie scrive:
“Gli anni… in cui inseguivo le immagini interiori sono stati il periodo più importante della mia vita. Tutto il resto ne consegue. Tutto cominciò in quel periodo, e i dettagli successivi non contano affatto. Tutta la mia vita è consistita nell’elaborazione di ciò che progressivamente era eruttato dall’inconscio e mi inondava come una corrente enigmatica e minacciava di travolgermi. Questa è stata la sostanza e il materiale per più di una vita. Tutto ciò che venne dopo fu semplicemente classificazione esteriore, elaborazione scientifica e integrazione nella vita. Ma allora fu l’inizio luminoso, che conteneva tutto.”
L’autore racconta nella sua autobiografia che le sue teorie psicologiche furono il frutto delle sue esperienze psichiche, e mise in evidenza che ci furono alcuni anni molto produttivi in cui emersero tante visioni e simboli. Per capire il suo contenuto dovette impegnarsi per tutto il resto della sua vita. Questo proprio a causa del linguaggio dell’inconscio dove tutto è possibile e per questo l’individuo si può perdere. Il testo per esporre il rapporto complicato che la coscienza può instaurare con l’inconscio organizzata i capitoli secondo una precisa struttura compositiva. Si aprono con il racconto drammatizzato delle fantasie visive, in cui Jung incontra una serie di figure in svariate situazioni, entra in conversazione con loro e viene così messo di fronte a eventi inaspettati e ad affermazioni scioccanti. A questa prima sezione narrativa segue il tentativo di comprenderne e di esprimerne il significato sotto forma di concetti e principi psicologici generali. Secondo Jung, il valore delle sue fantasie consisteva nel fatto di scaturire dall’Immaginazione Mitopoietica, una facoltà che lo spirito razionalistico dell’epoca moderna gli sembrava aver perduto. L’individuazione persegue l’obiettivo di istituire un dialogo con le figure fantastiche del mondo interno – cioè con i contenuti dell’inconscio collettivo – affinché vengano integrate nella coscienza, in modo da riattivare la funzione dell’Immaginazione Mitopoietica e riconciliare così lo Spirito del Tempo con lo Spirito del Profondo. Un compito che costituirà una delle questioni centrali della successiva opera scientifica di Jung. Il manoscritto e sostenuto da numerose illustrazioni che evocano immagini fantasmatiche, è considerato un esercizio di immaginazione attiva, pratica che Jung teorizzò come strumento di scoperta ed analisi dell’inconscio. L’opera rimase inedita per volere degli eredi di Jung che negarono l’accesso al testo fino al 2002. Da allora il curatore condusse un’opera di convinzione presso gli eredi che portò alla prima pubblicazione dell’opera in tedesco. Il metodo utilizzato da Jung per comunicare con il mondo dell’inconscioche e che usa in tutto il Libro Rosso è quello dell“’immaginazione attiva”. Questo già utilizzato in molti altri trattati da lui scritti rappresenta oggi una delle tecniche più importanti della psicoterapia junghiana. Questa consiste nell’esplorazione dell’inconscio che mira a dare forma tangibile alle immagini dell’inconscio attraverso la mediazione della coscienza con finalità terapeutiche. Tale approccio consiste nel focalizzare l’attenzione sulle emozioni, e più in generale, sui fantasmi inconsci (alle volte “mostri”) portati alla coscienza per interagire con essi e dando vita creativa ad immagini spontanee che l’Io formalizza e struttura in modo responsabile. L’immaginazione attiva è uno dei pilastri della psicoterapia junghiana essa è considerata dallo stesso Jung come “forza immaginativa pura, un procedimento avanzato di integrazione tra conscio ed inconscio che dà vita alla cosiddetta funzione trascendente in un’opera di sintesi dove la distanza tra sogno e veglia, sia il più possibile ravvicinata, in un terzo livello creato dal paziente.” Marie-Louise von Franz una delle sue più illustri allieve sottolinea, inoltre, le differenze tra imaginatio vera, come processo di elaborazione e confronto che si attua nella tecnica junghiana e imaginatio phantastica infantile e fine a se stessa. Questo implica che sia il vero “Io” a interagire onestamente con le figure dell’inconscio, mentre nell’infanzia è l’”Io” transitorio in trasformazione che attua le fantasie nel gioco.
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Grazie dell’attenzione
Dott.sa Giulia Iolanda De Carlo
Psicologa Psicoterapeuta
Corso Gramsci,133, Palagianello (Ta)
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