Tra il 1912 e il 1918 Carl Gustav Jung, fondatore della “psicologia analitica” e pietra miliare della ricerca psicologica del XX secolo, attraversò una condizione di profonda crisi personale e d’intensa esperienza visionaria. Queste furono registrate da Jung nei suoi diari (chiamati da lui libri neri) da cui poi nacque il “Libro Rosso” che venne pubblicato molti anni dopo la sua morte. In questo testo rientrarono molte esperienze visionarie tra cui quella dei “Septem sermones ad mortuos” (1916).
Stampati privatamente in forma di opuscolo, Jung ne fece occasionalmente dono ad amici ma, al pari del “Libro Rosso”, non volle mai pubblicarli. Ci informa Aniela Jaffé, che ne fu segretaria negli ultimi anni di vita, che “solo dopo molte esitazioni e ‘per amore di onestà’” egli acconsentì a includerli nelle memorie postume, apparse col titolo di “Ricordi, sogni, riflessioni”. Ed è proprio in quest’autobiografia, in gran parte dettata alla Jaffé, che troviamo alcune preziose indicazioni sull’origine del singolarissimo scritto. La Jaffé lavorò per molti anni affianco a Jung e grazie a lei fu possibile recuperare alcune informazioni importanti circa la vita e la sua personalità. Molto controversi sono stati quelli che possiamo considerare i diari di Jung (i libri neri ) cioè quegli scritti che contengono gli aspetti più intimi della sua interiorità. Scritti in cui l’autore incontra le sue difficoltà emotive e con cui si confronta attraverso una serie di fantasie e visioni. Il trovare giovamento nell’inseguire queste immagini interiori, cercando di scoprirne il messaggio profondo, rappresentarono quelle esperienze che permisero Jung di mettere a punto il suo tipico approccio alla psicologia. Nei libri neri troviamo questo suo particolare sistema come metodo elettivo per comprendere e integrare i contenuti provenienti dall’inconscio. Questi scritti sotto forma di prime bozze dopo un’accurata analisi fornirono il materiale per la compilazione del “Libro Rosso” . Ci informa la Jaffé nelle interviste che acconsentì a fare che “tanto positiva e attiva fu la partecipazione di Jung alla sua ‘autobiografia’, quanto negativo e critico fu […] per lungo tempo il suo atteggiamento di fronte alla prospettiva della pubblicazione”, per il carattere delle esperienze narrate e la franchezza delle opinioni, soprattutto religiose. A questo proposito infatti Jung confidandosi alla Jaffé spiegava: “Ho sofferto abbastanza a lungo dell’incomprensione e dell’isolamento a cui si va incontro quando si dicono cose che la gente non capisce” (Ricordi Ssogni Riflessioni, p. 13; per la citazione nel testo cfr. RSR, p. 465).
“I sette sermoni ai morti” fa parte di quei testi che narrano le profonde inquietudini e visioni che Jung visse durante gli anni che andarono tra il 1911 e il 1918. Quel periodo sancì la nascita della sua personale teoria sulla mente e la conseguente rottura e incomprensione da parte del mondo accademico del tempo. Di conseguenza Jung fu isolato dai suoi colleghi. La rottura con Freud avvenne in seguito alla pubblicazione del testo “Libido e simboli della trasformazione” nel 1911.
Sino ad allora le visioni contrastanti tra i due colleghi erano rimaste solo sul piano privato e ideologico. Mentre l’uscita del testo sulla libido rappresentò per Freud la dichiarazione esplicita che Jung non appoggiasse le tesi della società psicoanalitica e per questo Freud lo invitò ad allontanarsi. Questo scritto rappresentò l’inizio di quello che Jung chiamò il “progetto di una psicologia complessa” e contribuì a trasformare lo scenario accademico di quell’epoca. A proposito del trattato sui “Simboli della trasformazione” Jung riferisce:
“Questo libro fu da me scritto nel 1911 a 36 anni: un momento critico, giacché segna l’inizio della seconda metà della vita nella quale non di rado si verifica una metanoia, un mutamento d’opinione.” Mentre l’opuscolo dei “Sette Sermoni ai Morti” è successivo appartiene a quella categoria di eventi psichici che Jung visse seguendo le sue ipotesi circa i fenomeni dell’inconscio e di come relazionarsi con esso. Rappresenta un esempio di viaggio dentro se stessi sotto forma di immagini e visioni, questo modo di procedere dentro di sé è quel metodo che poi porterà Jung a sviluppare la tecnica clinica chiamata “immaginazione attiva”.
Ma ritornando ai “Sette sermoni ai morti” il suo contenuto risentì degli studi che Jung stava compiendo in quel periodo sullo gnosticismo cristiano e l’alchimia. In particolare l’origine del testo si fa risalire a un momento preciso della vita di Jung nel 1916, due anni dopo l’inizio della Prima Guerra mondiale. In quel contesto Jung viveva un momento di intensissima attività psichica che gli procurava grande inquietudine. Nella casa si erano verificati fenomeni “paranormali”. Il campanello di casa suonava da solo e Jung sentiva che una folla di presenze lo assediava. Ma tutto si placò quando, dopo tre sere successive di scrittura, egli finì di creare e depose la penna. Aveva scritto i sermoni rapito in una specie di stato di trance. In questo scritto il numero sette era fondamentale, ma perché proprio questo numero? Il sette è un numero simbolico: 7 i Chakra, 7 i giorni della creazione e della settimana, 7 le frequenze della luce, sette le note musicali…
I contenuti del testo si rifanno a un autore e filosofo gnostico Basilide che Jung conobbe studiando la corrente dello gnosticismo cristiano dei primi secoli. Molto suggestive sono le prime frasi in cui Jung immagina una folla di gente che si accalca alla sua porta dicendo: “Ritorniamo da Gerusalemme, dove non abbiamo trovato ciò che cercavamo”(Libro Rosso, Prove, par.6, p.346). L’immagine di Gerusalemme in questa visione è molto significativa perché rappresenta sia un luogo reale ma anche un luogo simbolico. Infatti questa città è il punto di partenza della storia della Chiesa, è la città spirituale che deve essere liberata. C’è una Gerusalemme celeste fatta da Dio e una Gerusalemme terrena fatta dagli uomini; la prima è il mistero del sacro, la seconda è la religione divenuta dogma. I Sette Sermoni sono importanti perché contengono molte delle intuizioni che Jung svilupperà poi nelle opere successive. Ma vediamo sinteticamente i contenuti dei vari capitoli. Il primo Sermone inizia con l’insegnamento di ciò che non può essere insegnato, il pleroma, il ‘nulla’ che è pienezza, lo spazio virtuale fatto di qualità contrapposte. Ogni cosa che esiste proviene da li. Perciò anche Dio proviene da li, così come il diavolo, sua immagine opposta di cui parla il secondo sermone. Ma al di sopra di tutto, al di sopra di Dio stesso e della sua ombra, c’è Abraxas una divinità vicina al pleroma. Abraxas la divinità del III sermone è un’entità indefinita ma terribile in quanto contiene in sé tutti gli opposti e li manifesta. Nel IV sermone Jung illustra i quattro principi in cui si manifesta: sono quattro dei/demoni: il dio sole, l’inizio; poi Eros, che brucia e si consuma; il terzo è l’albero della vita, che riempie lo spazio con forme corporee; il quarto è il demonio. In questo sermone viene suggerito che non giova adorare gli dei, poiché noi proveniamo da loro e andiamo verso Dio. Nel V sermone si contrappone la spiritualità (Madre) all sessualità (Phallos), entrambe entità potenti da cui l’uomo è chiamato a distinguersi. Comunione e distinzione sono contrapposte e parimenti necessarie e perverse, secondo le circostanze. Nel VI sermone si continua a contrapporre la sessualità, serpe strisciante nella terra, amica del diavolo, con la spiritualità, uccello bianco messaggero degli dei che porta in alto la parola umana. Nel settimo e ultimo sermone c’è il fulcro del pensiero cosmologico di Jung: l’uomo è una porta, attraverso cui si può accedere dal mondo esteriore degli dei, dei demoni e delle anime, a quello interiore, dove a incommensurabile distanza, allo zenit c’è una singola stella, Dio, I ‘unico Dio, che l’uomo deve pregare. La preghiera accresce la luce della stella e getta un ponte sopra la morte, facendo dimenticare all’uomo il mondo dei desideri insaziabili al di fuori di lui. L’ autentica partecipazione dell’individuo alla comunione si realizza mediante il suo processo di individuazione. L’uomo sta al centro di tutto ciò che esiste, il visibile come l’invisibile, e la sua conoscenza progredisce oltre la percezione materiale, in un percorso di progressiva evoluzione Spirituale.
Di seguito uno spaccato del testo “Sogni, Ricordi e Riflessioni” dove Jung racconta con le sue parole la sua esperienza. Questa visione segnò profondamente l’autore in quanto una delle prime che sancirono l’inizio di quel periodo molto florido dal punto di vista della produzione delle sue immagini interiori. Il lavoro su questo materiale durò tutta la vita e promosse la sua maturazione esistenziale. Ma bisogna sottolineare che la gran parte di visioni Jung le ebbe tra gli anni dal 1912 al 1918. Per affrontare il turbamento che queste esperienze gli provocarono sperimentò vari metodi finendo per mettere a punto la tecnica che poi chiamò dell’”immaginazione attiva”.
Così scrive a proposito dei suoi vissuti interiori nella sua autobiografia:
– “Si scatenò un flusso incessante di fantasie, e feci del mio meglio per non perdere la testa e per trovare il modo di capirci qualcosa. Ero inerme di fronte a un mondo estraneo dove tutto appariva difficile e incomprensibile. […] Ma in me c’era una forza demoniaca, e mi convinsi fin da principio di dover cercare ad ogni costo il significato di ciò che sperimentavo in queste fantasie. […] Spesso ero così sconvolto, che dovetti fare esercizi di yoga per riuscire a dominare le mie emozioni” (Ricordi Sogni Riflessioni, p. 220); “È certo un’ironia che io, come psichiatra, nei miei esperimenti, mi dovessi imbattere in quel materiale caratteristico delle psicosi e che si trova di diritto nel manicomio. È questo quel mondo di immagini dell’inconscio che fatalmente confonde il malato di mente, ma è anche la matrice di una immaginazione mitopoietica che è scomparsa nella nostra epoca razionalistica. […] Specialmente in questo periodo, quando ero occupato con le mie fantasie, mi serviva un punto di appoggio ‘in questo mondo, e posso dire che per me era rappresentato dalla famiglia e dall’attività professionale. Era molto importante per me avere una vita normale nel mondo reale, per bilanciare la stranezza del mondo interiore” (Ricordi Sogni Riflessioni, pp. 234-235). –
In Jung in quel periodo “voci interne” e “visioni” proruppero dall’intimo con il loro fardello di domande e d’inquietudini. Secondo la sua ipotesi ascoltare le proprie emozioni, anziché rifuggirle, gli avrebbe permesso di non esserne sopraffatto. L’obbiettivo era di lasciare che esse si traducessero in immagini, fino a figurare come personaggi con una voce propria e una volontà autonoma e potergli dare anche un nome.
Così continua il resoconto di Jung:
– “Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagini, e cioè a trovare le immagini che in esse si nascondevano, mi sentivo interiormente calmo e rassicurato. Se mi fossi fermato alle emozioni, allora forse sarei stato distrutto dai contenuti dell’inconscio. […] Il mio esperimento mi insegnò quanto possa essere di aiuto … da un punto di vista terapeutico… scoprire le particolari immagini che si nascondono dietro le emozioni” – .(Ricordi, Sogni e Riflessioni, p. 221)
Si può considerare questo il nocciolo del metodo della “immaginazione attiva”, da cui nacquero le annotazioni di altri due testi importanti ossia il Libro rosso e, non meno, i Septem Sermones. Una delle prime esperienze tra le più significative delle visioni di Jung, e di come questi contenuti venivano da lui trattati, è un evento che coinvolse tutta la sua famiglia.
Lasciamo che Jung racconti da solo la vicenda:
– “Nel 1916 avvertii l’impulso di dare forma a qualcosa. Ero come sollecitato nell’intimo a formulare ed esprimere ciò che in certo qual modo avrebbe potuto esser detto da Filemone. Nacquero così i Septem sermones ad mortuos, con il loro peculiare linguaggio. Cominciò con uno stato d’inquietudine dentro di me, ma non sapevo che cosa significasse, o che cosa ‘si’ volesse da me. C’era intorno a me un’atmosfera sinistra: avevo la strana sensazione che l’aria fosse pregna di entità spettrali. Poi fu come se la mia casa fosse abitata dagli spiriti. La maggiore delle mie figlie vide una figura bianca attraversare la stanza; la seconda, indipendentemente dalla sorella, riferì che per due volte nella notte le era stata portata via la coperta; infine, quella stessa notte, mio figlio, di nove anni, aveva avuto un incubo nel sonno. […] La domenica, verso le cinque del pomeriggio, il campanello del portone di casa si mise a suonare pazzamente. Era un giorno chiaro d’estate, e le due domestiche stavano in cucina, da dove si poteva vedere tutta la piazza antistante la casa. Io stavo seduto non lontano dal campanello, e non solo l’avevo sentito suonare, ma l’avevo visto muovere. Tutti corsero immediatamente alla porta per vedere chi fosse, ma non si vide nessuno. Ci limitammo a guardarci in faccia: l’atmosfera era greve! Allora capii che doveva accadere qualcosa. Tutta la casa era come abitata da una folla di gente, come se fosse stipata di spiriti. Si affollavano fin sotto la porta, e si aveva la sensazione di poter respirare a fatica. Ero naturalmente tormentato dalla domanda: ‘Per amor di Dio, ma di che si tratta?’ Allora in coro gridarono: ‘Ritorniamo da Gerusalemme, dove non abbiamo trovato ciò che cercavamo.’ Queste parole corrispondono alle prime righe dei Septem Sermones. Poi cominciò a fluire da me ininterrottamente, e in tre sole sere avevo scritto tutto. Appena ebbi deposto la penna, tutta quella folla di spiriti era svanita. La stanza era tornata quieta, l’atmosfera limpida: l’invasione era finita. Fino alla sera dopo ci fu ancora qualcosa, poi di nuovo svanì. Eravamo nel 1916. Questa esperienza deve essere presa per quello che fu, o che sembra essere stata. Senza dubbio era connessa con lo stato di emotività nel quale mi trovavo a quel tempo, favorevole a fenomeni parapsicologici. Era una costellazione inconscia, la cui peculiare atmosfera riconobbi come il numen di un archetipo. ‘Gira qui intorno, è nell’aria!’ L’intelletto, naturalmente, ne pretenderebbe una conoscenza scientifica.[…] Ma quanto triste sarebbe il mondo, se le regole qualche volta non fossero violate!” – (Ricordi Sogni Riflessioni, pp. 236-237)
Il modo con cui Jung lasciò che le immagini interiori sgorgassero da lui senza opporvisi, per poi cercare di capirne i significati segnò un nuovo metodo di analisi dell’inconscio. Questo era del tutto diverso da come lo trattava e considerava Freud, nacque così una tecnica che Jung mise a punto con gli anni culminato nella creazione de Il “Libro Rosso”. Questo si presentava come un grande libro con disegni, scritto a mano con calligrafia antica. Originariamente Jung lo scrisse per se stesso e non era destinato alla pubblicazione, ma dopo la sua morte i suoi posteri, in considerazione del suo grande valore culturale, decisero di pubblicarlo. In esso si osserva come Jung utilizzava questa tecnica con le proprie fantasie e come attraverso questa riuscisse a elaborare alcuni suoi conflitti interni. Infatti l’immaginazione attiva mira a dare forma tangibile alle immagini dell’inconscio attraverso la mediazione della coscienza. Tale approccio consiste nel focalizzare l’attenzione sulle emozioni, e più in generale, sui fantasmi (i cosiddetti mostri) inconsci portati alla coscienza interagendo con essi e dando vita creativa ad immagini spontanee che l’Io formalizza e struttura in modo responsabile. Tale procedimento secondo la visione di Jung permette il passaggio di ciò che può essere rappresentato in simboli e analogie in qualcosa più comprensibile all’io del soggetto.
Conclusione
L’operazione mentale di seguire in modo consapevole le immagini che provengono dall’inconscio ha trovato appoggio in molte branche della psicologia. Questa modalità ha mostrato la sua utilità in quanto sblocca processi di pensiero, e avvia percorsi di comprensione di se stessi che seguono strade diverse da quelle della sola ragione razionale. Un’esperienza di questo genere, se anche nasce dall’esplorazione personale dei contenuti inconsci di Jung può essere vissuta da chiunque. La possibilità di esplorare il proprio inconscio è una potenzialità insita nella psiche. Infatti l’emergere spontaneo di sogni notturni e fantasie sono quel materiale personale che ognuno di noi possiede spontaneamente proprio a questo scopo. La gente comune spesso non si preoccupa di questi lati della propria esistenza e così perde il contatto con la parte più ancestrale e ispirata della propria interiorità. L’ esempio che vuole dare C.G. Jung attraverso le sue visioni ha lo scopo di sensibilizzare l’individuo verso questo lato della propria esistenza perché spesso è lì che si svelano le soluzioni ai nostri problemi e si manifestano le potenzialità ancora inespresse dell’individuo.
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Grazie dell’attenzione
Dott.ssa Giulia Iolanda De Carlo
Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalitico
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