Jung ha sempre sostenuto che la spiritualità meritasse uno studio approfondito, ritenendo che, al pari di ogni altro aspetto dell’esperienza umana, essa avesse significative ripercussioni sulla psiche degli individui. Questo interesse lo portò ad approfondire l’argomento anche attraverso studi di carattere antropologico, interrogandosi sull’origine del bisogno di Dio (Jung, 1938). Nel corso di questa indagine, Jung entrò in contatto con il pensiero del noto antropologo Lucien Lévy-Bruhl, il quale aveva studiato le civiltà primitive, osservando la relazione intima che queste popolazioni sviluppavano con le divinità. Egli definì tale modalità di rapporto “partecipazione mistica” (Lévy-Bruhl, 1922). Jung ipotizzò che la possibilità di instaurare un dialogo con il divino derivasse da un sostrato psichico comune a tutta l’umanità e che, da questa condizione originaria, avessero preso forma le religioni e i sistemi simbolici delle varie culture. Jung affermava inoltre che la spiritualità potesse essere intesa in molteplici modi e che, rispetto alla questione dell’esistenza di Dio, nessuno potesse vantare certezze assolute (Jung, 1938). Sia l’ateo, che nega l’esistenza di una realtà superiore, sia il credente, che la afferma, fondano la propria posizione su un atto di fede. In entrambi i casi, mancano prove conclusive. Per questo motivo, Jung proponeva un atteggiamento più equilibrato e riflessivo: esplorare e comprendere i fenomeni spirituali, piuttosto che escluderli aprioristicamente. Osservava inoltre che, nel corso della storia, le diverse culture avevano tentato di dare spiegazione a tali manifestazioni in modi differenti: quando possibile, attraverso le scienze; in altri casi, ricorrendo alla religione, al mito o all’ideologia. I suoi studi lo convinsero che l’origine della coscienza, e anche delle religioni dovessero derivare da un’unica matrice inconscia da cui si originavano di riflesso tutti i fenomeni psichici (Jung 1958).
Egli afferma che:
“L’inconscio è la madre della coscienza. […] La coscienza si genera da una psiche inconscia che la precede nel tempo e che poi continua a funzionare con o malgrado la coscienza stessa.”
— C.G. Jung, 1939(in Jung, 1980, p. 178)
Secondo Jung la coscienza non nasce dal nulla, ma emerge da un’intricata rete di processi inconsci che la precedono e continuano a influenzarla. È come se l’inconscio avesse una volontà primordiale da cui scaturisce la nostra identità e il nostro modo di percepire il mondo.
L’Origine della Coscienza e la Proiezione dei contenuti inconsci sul Mondo
Jung trovò conferma di questa visione negli studi antropologici. Se torniamo indietro nel tempo, prima dell’avvento della scienza, gli esseri umani interpretavano i fenomeni naturali attribuendoli a divinità e forze sovrannaturali. Il tuono, il sole, il vento, il mare: ogni elemento della natura era considerato abitato da spiriti o da dèi con cui l’uomo si sentiva in rapporto diretto (Eliade. 1957). Jung, studiando queste civiltà, comprese che la formazione delle divinità derivava dal fatto che, agli albori della coscienza, l’essere umano viveva immerso nel proprio inconscio. Questo stato mentale portava a proiettare i contenuti interiori sul mondo esterno: la natura veniva antropomorfizzata, attribuendole un’anima e una volontà. Così, il fiume diventava uno spirito sacro, la montagna un dio, la foresta un’entità vivente. Non si trattava solo di superstizione: queste credenze costituivano un vero e proprio sistema di regolazione sociale. Le leggi divine erano temute e rispettate, e la loro influenza determinava l’ordine all’interno delle comunità. L’immaginario collettivo era dunque governato da un senso di connessione profonda tra l’uomo e l’ambiente circostante.
La Partecipazione Mistica: la Fusione tra Sé e il Mondo
Il fenomeno di questa identificazione con il mondo esterno era stato già descritto dall’antropologo Lévy-Bruhl, che lo definì “partecipazione mistica”. Secondo questa teoria, l’essere umano primitivo non percepiva una netta distinzione tra sé e gli oggetti esterni, ma si sentiva in uno stato di fusione con essi. Jung riprese questo concetto per spiegare come l’incoscienza primitiva fosse caratterizzata da un’assenza di differenziazione tra soggetto e oggetto. In altre parole, nelle prime fasi della coscienza umana, il mondo interiore e il mondo esterno si confondevano, creando una percezione della realtà in cui tutto era interconnesso. Va sottolineato che questo stato non appartiene solo agli uomini primitivi: Jung sottolinea che la partecipazione mistica caratterizza anche l’infanzia e alle volte la mente inconscio dell’adulto moderno. Infatti lui fa notare che se certi contenuti rimangono nell’inconscio senza essere portati alla luce della coscienza, essi continuano a influenzare il nostro rapporto con il mondo senza che ce ne rendiamo conto.
Il termine PARTECIPAZIONE MISTICA è stato coniato da Lévy-Bruhl, e designa una forma particolare di legame psicologico all’oggetto, legame tale che il soggetto non può distinguersi nettamente dall’oggetto, ma vi resta legato da un rapporto diretto, cioè da una specie d’identità parziale. Quest’identità è fondata sulla funzione a priori del soggetto e dell’oggetto. La partecipazione mistica è un residuo dello stato primordiale. Essa non concerne la totalità della relazione del soggetto con l’oggetto, ma solo certi casi nei quali compare il fenomeno di questa speciale relazione. Essa s’incontra soprattutto presso i primitivi, benché non sia raro trovarla ad un grado minore d’intensità e di sviluppo nell’uomo civile. In generale, presso i popoli civili ciò capita tra due persone, ma è raro che capiti tra una persona ed una cosa. Nel primo caso vi è un fenomeno detto transfert, per cui l’oggetto esercita un effetto magico o assoluto; nel secondo, si tratta di un effetto analogo prodotto da una cosa o di una specie d’identificazione con una cosa o con una sua idea. Jung sottolinea come l’individuo, nel tempo, si sia progressivamente separato dagli elementi della natura primordiale, ovvero da quella condizione di fusione con essa, nota come partecipazione mistica portandolo a una condizione di separazione da una parte fondamentale di se stesso. Questo suo concetto viene esposto nel testo “L’ uomo ei suoi Simboli’ di cui riporto le parole.
In Jung infatti leggiamo:
“Come l’evoluzione del corpo embrionale ripete la sua preistoria, così anche la mente si sviluppa attraverso una serie di stadi preistorici. La funzione principale dei sogni è quella di ricostituire una specie di «ricordo» del mondo preistorico che infantile, partendo dal livello degli istinti più primitivi. Questi ricordi possono avere in alcuni casi un effetto notevolmente salutare, come capì Freud molti anni fa. Questa osservazione conferma l’opinione che una lacuna della memoria (una cosiddetta amnesia) infantile rappresenta una perdita positiva e che il suo risanamento può produrre un incremento altrettanto positivo nella vita e nel benessere dell’individuo. Poiché il bambino è fisicamente piccolo e i suoi pensieri consci sono scarsi e semplici, non riusciamo a renderci conto facilmente delle profonde complicazioni della mente infantile, basate sulla sua identità originaria con la psiche preistorica. Questa «mente originaria» è presente e funzionante nel bambino nella stessa misura in cui lo sono gli stadi evoluzionistici del genere umano nel suo corpo ancora embrionale. Se il lettore rammenta ciò che son venuto dicendo in precedenza a proposito dei sogni fatti dalla bambina e da essa donati al padre, non stenterà a farsi un’idea di ciò che intendo dire. Nell’amnesia infantile si rinvengono strani frammenti mitologici che spesso appaiono anche in successive psicosi. Quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L’uomo si sente isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua «identità inconscia» emotiva con i fenomeni naturali. Questi, a loro volta, hanno perduto a poco a poco le loro implicazioni simboliche. Il tuono non è più la voce di una divinità irata, né il fulmine il suo dardo vendicatore. I fiumi non sono più dimora di spiriti, né gli alberi il principio vitale dell’uomo, né il serpente l’incarnazione della saggezza o l’antro incavato della montagna il ricetto di un grande demonio. Nessuna voce giunge più all’uomo da pietre, piante o animali, né l’uomo si rivolge a essi sicuro di venire ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava. Questa perdita enorme è compensata solo dai simboli dei sogni. Essi ci ripropongono la nostra natura originaria, con i suoi istinti e il suo particolare pensiero. Sfortunatamente, però, essi esprimono i loro contenuti nel linguaggio della natura, che per noi è strano e incomprensibile. Ci troviamo perciò di fronte alla difficoltà di tradurlo nelle parole e nei concetti razionali del linguaggio moderno, che si è liberato dalle sue implicazioni primitive e in particolare da ogni partecipazione mistica con le cose da esso descritte. Oggigiorno, quando parliamo di spiriti e di altre figure soprannaturali, non li evochiamo più. Queste parole un tempo magiche hanno ora perduto tutta la loro potenza e il loro fascino. Abbiamo smesso di credere alle formule magiche; i tabù e le altre restrizioni di questo tipo sopravvivono in numero sparuto; il nostro mondo sembra essersi disinfestato da tutte le creature della «superstizione», come «streghe, maghi e fattucchiere», per tacere dei lupi mannari, dei vampiri, delle anime della foresta e di tutti gli altri esseri bizzarri che popolavano la foresta primeva. Per dirla con linguaggio più preciso, la superficie del nostro mondo sembra essere stata ripulita di tutte le superstizioni e di tutti gli elementi irrazionali. Se poi il vero mondo interiore dell’uomo (e non quello da noi semplicemente immaginato per nostra tranquillità) sia altrettanto libero da scorie primitive, è un’altra questione. Forse il numero 13 non è ancora tabù per molte persone? e non ci sono forse ancora molti individui posseduti da pregiudizi, proiezioni e illusioni infantili del tutto a? Un quadro realistico della mente umana rivela ancora molti tratti e sopravvivenze primitive di questo tipo, che continuano a persistere come se nulla fosse accaduto negli ultimi cinque secoli. E’ essenziale rendersi conto di questo fatto. L’uomo moderno è infatti una curiosa mescolanza di caratteristiche volta a volta acquistate belle lunghe fasi del suo sviluppo mentale. Questo essere composito è costituito dall’uomo e i suoi simboli, oggetto del nostro studio, ed è nostro compito analizzare molto a fondo i suoi prodotti mentali”. (tratto da “L’uomo e i suoi simboli”)
Jung parte da un parallelismo: così come lo sviluppo embrionale dell’essere umano ripercorre l’evoluzione biologica della specie (concetto noto anche in biologia come “recapitolazione”), anche la psiche si sviluppa attraverso stadi arcaici, ereditando tracce del pensiero preistorico. I sogni – secondo Jung – servono a ricollegarci a quel “ricordo” dell’origine, che in parte si perde con la crescita. In questo senso, la “amnesia infantile”, cioè l’oblio delle prime fasi della vita, è vista come una perdita, ma anche come una protezione. Recuperare questi strati antichi della psiche (spesso attraverso sogni o terapie) può avere un effetto terapeutico e rigenerante. Jung osserva che la psiche del bambino è molto più complessa di quanto si pensi. Anche se i suoi pensieri coscienti sono semplici, egli è immerso in un mondo psichico arcaico, mitico, simbolico, simile a quello delle culture primitive. Con il progresso della scienza, l’umanità ha perduto il contatto simbolico con la natura: il mondo è diventato “disincantato”, gli elementi naturali non sono più abitati da spiriti, divinità o archetipi. Il pensiero mitico e simbolico, che un tempo dava senso e significato al mondo, è stato rimosso. Questa “perdita di partecipazione mistica” (come direbbe Lévy-Bruhl), ha però un prezzo: l’impoverimento emotivo e spirituale dell’uomo moderno. Nota Jung che i sogni sono ciò che rimane attivo della nostra natura originaria: attraverso simboli, immagini arcaiche e scenari mitologici, ci parlano con un linguaggio che non è logico né razionale, ma antico e analogico. Il problema è che l’uomo moderno ha perso la capacità di comprendere questo linguaggio. I simboli non hanno più forza evocativa, le parole come “spirito” o “anima” non suscitano più emozione o rispetto. Jung sottolinea che, nonostante l’apparente razionalità della nostra epoca, molte credenze primitive sopravvivono sotto altre forme: il numero 13, i pregiudizi, le proiezioni, le fantasie irrazionali. La mente umana conserva strati arcaici che continuano a vivere sotto la superficie. L’essere umano contemporaneo, secondo Jung, è una mescolanza di livelli evolutivi, non solo biologici ma anche psichici. La sua mente è un prodotto di millenni di sviluppo, e i simboli che emergono dai sogni sono chiavi fondamentali per esplorare questa stratificazione. Jung ribadisce l’importanza di non trascurare i sogni, perché in essi risiede una saggezza antica, una guida simbolica verso ciò che abbiamo dimenticato ma che continua ad agire in noi. Comprendere i simboli significa recuperare una parte perduta di noi stessi e ristabilire un contatto con quella natura profonda e mitica da cui proveniamo
Conclusione
Il concetto di partecipazione mistica, al crocevia tra psicologia analitica e antropologia, rivela quanto la nascita della coscienza sia intimamente legata a uno stadio originario di fusione tra soggetto e oggetto. Jung e Lévy-Bruhl, pur da prospettive diverse, convergono nel riconoscere l’esistenza di un fondo psichico arcaico che plasma tanto le credenze religiose quanto le dinamiche inconsce dell’individuo moderno. Comprendere queste radici simboliche e partecipative permette non solo di esplorare l’evoluzione della coscienza, ma anche di cogliere l’influenza persistente dell’inconscio nella nostra esperienza del mondo e nella costruzione del significato.
Approfondimento sull’antropologo Lévy-Bruhl e il pensiero primitivo della “partecipazione mistica”
Lucien Lévy-Bruhl (Parigi, 10 aprile 1857 – Parigi, 13 marzo 1939) è stato un filosofo, sociologo, antropologo ed etnologo francese, insegnante di filosofia e successivamente Prof. alla Sorbona (dal 1899), i suoi studi antropologici sulla mentalità religiosa dei popoli arcaici o cosiddetti primitivi hanno esercitato un forte influsso sulla cultura occidentale contemporanea. Lévy-Bruhl si convince che il pensiero “primitivo” sia basato sulla religione e che in relazione a ciò tutta la realtà viene pensata come l’insieme degli effetti di una causa divina come causa prima, ignorando totalmente le cause reali o “seconde” di origine fisica, chimica e biologica. A differenza dell’uomo occidentale, le cui rappresentazioni collettive sono dominate dal principio dell’identità personale, rigorosamente distinta dalle altre individualità e dal mondo fisico, le rappresentazioni collettive dei primitivi hanno alla base quella che l’autore definisce “legge di partecipazione”. La mente dei primitivi è caratterizzata da un’estrema intensità emozionale che porta con sé una costante partecipazione mistica con l’universo. Se l’occidentale interpreta il mondo e lo rappresenta, il primitivo lo “sente” e ne è posseduto. Per spiegare questo modo di partecipare agli eventi naturali fondendosi con loro, l’antropologo sviluppò una tesi circa i meccanismi alla base della nascita del “pensiero primitivo” Lévy-Bruhl ossia il “prelogismo”.
Questo riprende le tesi Aristotele, alla base del “pensiero occidentale” che fa riferimento sul principio di identità (A è A) e al principio di non contraddizione (A non è non-A). Queste due categorie, sostiene Lévy-Bruhl nelle funzioni mentali nelle società inferiori, non possono invece applicarsi al “pensiero primitivo”, le cui caratteristiche principali sono di tipo pre-logico e mistico e svolgono una funzione sia cognitiva che affettiva. La logica occidentale distingue chiaramente la parte dal tutto. Diversamente, per il primitivo la parte può valere il tutto, si può essere se stessi e contemporaneamente qualcos’altro, come un totem, un animale o anche una traccia lasciata da questo animale.
Secondo l’autore la prima forma di cultura comincerebbe da questa base mistica della mentalità arcaica porta a una partecipazione agli esseri circostanti e a tutta la natura, ma sarebbe impermeabile all’esperienza, perché attribuirebbe lo svolgersi degli eventi a forze soprannaturali: ecco perché il primitivo mancherebbe di logica (quale la intende l’uomo “civile”); ignora i principi di identità, di contraddizione e di causalità; non ha un’idea precisa dell’individualità perché si sente parte del gruppo in cui vive; non è in grado di fare una netta distinzione fra il possibile e l’impossibile perché
Fra le opere principali di Lévy-Bruhl si annoverano:
Le funzioni mentali delle società inferiori (1910),
La mentalità primitiva (1922), trad. it. Einaudi, Torino 1948 e 1966.
Il soprannaturale e la natura nella mentalità primitiva (1931),
L’esperienza mistica ed i simboli presso i primitivi (1938).
Bibliografia
Eliade, M. (1957). The Sacred and the Profane: The Nature of Religion. Harcourt, Brace & World.
Jung, C.G. (1938). Psychology and Religion. Yale University Press.
Jung, C.G. (1958). Psychology and Religion: West and East. Collected Works, Vol. 11. Princeton University Press.
Jung, C.G. (1964). Man and His Symbols. London: Aldus Books.
Jung, C.G. (1980). La psicologia della traslazione. In: Opere, vol. 16. Torino: Bollati Boringhieri.
Jung, C.G. (1973). Tipi psicologici. Newton Compton, Roma.
Lévy-Bruhl, L. (1922). La mentalité primitive. Paris: Alcan.
Lévy-Bruhl, L. (1927). L’âme primitive. Paris: Alcan.