Come i sogni possono aiutarci a risolvere i nostri problemi?
Quando parliamo del sogno, possiamo pensare al sogno notturno oppure al quel sognare ad occhi aperti. Tutte queste attività della nostra mente avvengono in risposta ai nostri desideri… oppure ai nostri timori. Possiamo dire che i sogni viaggiano lungo un canale privilegiato che collega le nostre emozioni alle immagini che sgorgano spontanee nella nostra mente.
È intuitivo pensare che se siamo preoccupati immaginiamo che accadano situazioni spiacevoli, mentre se siamo sereni o allegri i pensieri che ci popolano sono ottimisti, belli e felici.
In ogni modo le emozioni che proviamo sono direttamente collegate con il mondo dell’inconscio.
Quando dormiamo l’inconscio trasforma le emozioni in situazioni e storie, utilizzando il linguaggio delle immagini. Possiamo fantasticare di essere al cinema, dove è il nostro personale inconscio a fare la scaletta dei film e decidere cosa farci vedere. Jung diceva che anche i nostri sogni ruotavano intorno a un nostro “centro”, una dimensione interiore vicina alle nostre più autentiche emozioni che lui chiamò Se. Secondo Jung tutta la vita inconscia e mossa da questo centro, come accade al sole che esercita la sua attrazione nei confronti dei pianeti.
Gli antichi greci parlavano della legge dell’”entelechia” affermando che per necessità ogni cosa partecipa al gioco delle forze dell’universo secondo la sua natura.
Dunque i sogni, e le fantasie che abbiamo non sono casuali seguono la legge dell’inevitabilità degli eventi, del ciclo inesauribile delle trasformazioni della natura: del giorno e della notte, delle stagioni, della terra, del sistema solare e dell’intero universo. Siamo in una giostra che gira, e in questo movimento tutto ruota verso un centro.
Gli antichi Greci impersonificavano in Ananke, la dea del destino, il gioco dell’inevitabilità di tutte le cose, e affermavano che ogni fenomeno avviene per “Necessità”. Ananke in greco significava oltre destino anche “Necessità” nel senso che dato un evento per necessità ne succede un altro, in una logica di causa effetto.
E dunque ritornando ad Jung, per necessità di assolvere alla loro funzione di esseri umani, l’inconscio agirebbe come custode della loro missione, per questa ragione darebbe ai nostri sogni un certo aspetto e contenuto, mirando verso la crescita ed l’evoluzione.
Dunque il nostro immaginario spinto da questa forza produrrebbe una certa sequenza di sogni, sia mentre dormiamo, che quando fantastichiamo ad occhi aperti.
PAOLO MIGONE un famoso psicoanalista e ricercatore ha approfondito questo argomento e spiega come la moderna concezione dell’INCONSCIO PSICONALITICO mette in evidenza come durante la notte il materiale presente nell’inconscio viene continuamente rimaneggiato.
Lui sottolinea come:-” per una certa concezione dell’inconscio psicoanalitico, le cose dimenticate (o meglio, rimosse) vengono depositiate nell’inconscio come se fosse un serbatoio, un magazzino, da cui poi possono essere recuperate tali e quali. Questa è sicuramente una visione superata, nel senso che è stato dimostrato che la memoria rielabora continuamente i ricordi, soprattutto quelli infantili o lontani, e li trasforma alla luce dei desideri, delle aspettative, delle esperienze successive, ecc., per cui non ricordiamo quasi mai esattamente quello che avevamo dimenticato. Infatti così come, secondo il meccanismo del transfert, noi interpretiamo e quindi trasformiamo le esperienze presenti alla luce del passato (cioè possiamo distorcere una percezione attuale, attribuendole un significato appunto transferale – ad esempio un paziente è timido e percepisce sempre come severe le figure di autorità perché suo padre era stato molto severo e punitivo con lui), ugualmente, con un meccanismo uguale e contrario, possiamo distorcere i ricordi delle esperienze passate alla luce di quelle successive: questo processo, questa sorta di “transfert inverso”, è ben noto alla psicoanalisi, e fu chiamato da Freud (1914, p. 575) Nachträglichkeit (tradotto in italiano, per la verità non bene, anche come “posteriorità”, e in inglese, forse peggio, con deferred action [“azione differita”], mentre i francesi lo hanno tradotto molto bene con après-coup [vedi André, 2008]), che significa appunto una attribuzione retrospettiva di significato nel senso del guardare indietro a posteriori, con una riorganizzazione dei significati personali (vedi Thomä & Kächele, 1988, pp. 119-124; Thomä & Cheshire, 1991; Migone, 1995, p. 24).
Chiarito quindi che i contenuti inconsci sono sempre rimodellati, va anche detto però che non sono mai completamente trasformati in qualcosa di diverso, ma un aspetto del loro significato originario lo mantengono”-.
Per approfondimenti l’articolo completo di Paolo Nigone e su:
http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt105-07.htm
Questa lunga considerazione dell’autore conferma, ancora una volta, che siamo continuamente in “un lavoro di elaborazione spontaneo” del materiale inconscio, e che i sogni possono aiutarci a risolvere paure, conflitti e dare soluzioni alle difficoltà di vita.
Dunque a questo punto per chi è interessato all’argomento è opportuno dare qualche informazione in più su ciò che per definizione viene inteso per inconscio e come a nostra insaputa ci influenza.
Molti autori ritengono l’inconscio una dimensione psichica che comprende pensieri, impulsi, emozioni, rappresentazioni, modelli di comportamento che stanno alla base dell’agire umano ma di cui, in genere, non si ha piena consapevolezza.
Le esperienze rimosse o dimenticate non vengono cancellate dalla nostra coscienza ma rimangono depositate in un posto nel cervello (appunto l’inconscio) in cui vengono modificate in parte e da cui poi esercitano la loro influenza al momento opportuno. Lo possiamo considerare come un archivio di una biblioteca, in continuo aggiornamento, chiuso a chiave e custodito da un bibliotecario. Freud chiamò “CENSURA” quella funzione della psiche capace dii tenere chiusi o rimossi alcuni ricordi. Ma accade spesso che, nonostante che i ricordi possano essere rimossi o dimenticati, l’emozione ad essi legata permane nello stato d’animo. Si verifica in questo modo una separazione tra evento ed affetto, dove anche se l’evento entra nell’oblio l’emozione ad esso associata viene spesso ripetutamente vissuto. Un esempio tipico è l’attacco di panico, in questo caso ciò che ci ha prodotto panico nel passato viene rimosso, mentre a permanere è l’esperienza dello spavento che si ripropone in circostanze che a prima vista non avrebbero nulla di spaventoso. In questo caso nell’inconscio permangono i ricordi di quelle esperienze che ci hanno ferito, quell’emozione poi rimasta inespressa trova attraverso il panico lo scarico della paura vissuta. Questo però non accade solo per l’attacco di panico, ma si verifica per molti eventi che riguardano la nostra esistenza; e queste esperienze finiscono per popolare il mondo del nostro inconscio mostrando la l’ora esistenza nel fatto che ci condizionano nella vita. Di questa influenza spesso non abbiamo coscienza eppure il loro effetto assomiglia a quello di una lente. Infatti come una lente di un occhiale (da sole o da vista) può modificare la percezione del mondo, la luminosità, la vicinanza, la lontananza ecc.. allo stesso modo l’inconscio influenza il significato che si attribuisce a ciò che ci accade. Ciò avviene nei confronti delle informazioni che ci giungono dal mondo sia di natura relazionale che non. Per esempio per una persona che ha subito un alluvione, l’inizio di una pioggia, può essere vissuto con angoscia in virtù dell’esperienza passata, un’altra invece può vivere questa situazione in modo neutro e naturale. La stessa cosa succede nelle relazioni, le esperienze dolorose del passato rendono le persone diffidenti e paurose nei confronti degli altri. La personale modalità di interpretare l’accadere, spesso, può essere deformato dallo scotto di eventi del passato e diventare fonte di sofferenza. Quando si verificano nella vita situazioni del genere, questo scotto può condizionarci negativamente e sabotare le capacità che abbiamo di affrontare le difficoltà. Diventiamo più fragili, vulnerabili e ci paralizziamo nei confronti delle sfide quotidiane. In questi casi l’inconscio può venirci incontro operando a nostra insaputa un’elaborazione degli eventi per farceli superare. Quando questa capacità dell’inconscio di autoguarirci non è sufficiente è possibile che emergano sintomi, incubi, alterazione dell’umore, instabilità relazionale, ansia e depressione. In questo caso la psicoterapia rappresenterebbe quello che l’antibiotico è per una infezione importante o per una malattia, ci aiuta a guarire o a uscire da una situazione morbosa senza troppi danni, indebolimenti, o quelle conseguenze che a lungo termine possono danneggiare le nostre funzioni corporee.
Nei casi in cui iniziamo una psicoterapia non basta affidarsi all’emergere spontaneo delle immagini, sia dei sogni che delle fantasie della mente sveglia, è necessario intraprendere una inter-relazione reciproca e con questa dimensione. In un certo senso vanno decifrati i messaggi che ci provengono dal profondo, e il linguaggio dell’inconscio è un linguaggio antico che ha accompagnato il lungo cammino dell’umanità.
A Carl G. Jung fu chiesto una volta perchè i sogni e l’inconscio parlavano con i simboli e non nel linguaggiuo della vita quotidiana. Jung rispose a questa domanda affermando che:
“Una comunicazione così diretta può essere ignorata e che il sé parla nel linguaggio dello “Spirito Antico”, con la voce iconografica, pittorica dei secoli. Così, ci ha ricordato che l’umanità è stata trasportata dal tempo eterno attraverso immagini, suoni, racconti e simboli. La magnificenza e l’assoluta bellezza della musica di Satie e Debussy o dell’arte di DaVinci e Michelangelo possono mai essere espresse a parole?”
In un percorso psicoterapeutico è possibile cominciare grazie all’aiuto di un terapeuta esperto un dialogo con questa dimensione, e questo significa anche imparare una lingua diversa, la lingua dello “Spirito Antico”. Analizzando questo linguaggio attraverso i sogni ci si immerge nel mondo dell’irrazionale dove le leggi del tempo e dello spazio non vengono considerate, e tutto può essere tutto. Lo scrittore e aforista Franco Coletti descrive bene l’irrazionalità del tempo e dello spazio dell’inconscio, infatti, egli scrive:
“ll tempo del sogno non è il nostro abituale. Non procede in linea retta suddiviso in secondi e ore ben distinte. E’ come una scala di Escher, si attorciglia a spirale su sé stesso, torna al passato che non distingue dal presente, si affaccia al futuro come se fosse l’ oggi, si dilata comprendendo ere geologiche e si restringe improvvisamente, accelerando come un vecchio film comico di Ridolini. Quindi ci fa parlare con i morti, e diventa Nekeia, viaggio bockliniano nell’Ade; ci fa incontrare chi ancora non conosciamo, e diventa preveggenza; ci rifà tornare bambini smarriti che hanno paura del buio, e fanno bene perché il buio dei sogni è popolato da molte inquietanti presenze; ci fa morire e sognare di essere ancora vivi; ci pone dinanzi a specchi impietosi, a vergogne e paure scordate e rimosse; ci porta sulla luna, perché nei sogni esistono anche gli ippogrifi, e ci cala tra neri squali silenziosi negli abissi dei mari. Perché anche lo spazio, come il tempo, non è eguale al nostro, e il mondo contiene tutti i mondi che possiamo immaginare, ovvero infiniti. Dunque, mi chiedo: quali sono i tempi e spazi reali, quelli sognati o quelli della veglia? Pare abbiano eguale forza evocativa, eguale importanza, eguale capacità di relazionarci con l’universo; i sogni a volte anche di più.
Più vicini al vero erano forse gli antichi, che ai sogni davano importanza e venerazione molto prima che nascesse Sigmund Freud. -Ci parlano gli Dei quando dormiamo.- dicevano. Era vero. Gli Dei dentro di noi ci parlano ogni notte; abbiamo scordato noi come si fa ad ascoltarli.”
Non a caso nell’antichità c’erano dei tempi dedicati alla cura delle malattie grazie al sogno che utilizzavano varie pratiche di guarigione, tra queste la pratica del sonno rituale era importantissima; attraverso i sogni gli Dei parlavano al sognatore.
Per accedere a questo stato mentale di recettività si praticavano una lunga serie di rituali di purificazione del corpo e della mente. Prima di entrare nella camera del sonno, dove sul pavimento strisciavano serpenti e altri animali i sacerdoti cospargevano i malati di sangue di capra e li inducevano in uno stato di recettività verso i sogni. Grazie ai riti di venerazione venivano evocati gli Dei, e in quello stato era possibile che loro parlassero al malato per dargli indicazioni su come guarire.
Al giorno d’oggi è risaputo da un gran numero di terapeuti come l’inconscio possa rappresentare una valida guida per accompagnare la persona verso il benessere. I sintomi e le situazioni di vita problematiche possono essere affrontate utilizzando i messaggi del mondo profondo. Naturalmente questi vanno inseriti in un progetto terapeutico, dove è ben chiara la diagnosi della situazione o del paziente.
Avere in mente quali capacità dover sviluppare in un paziente per farlo uscire da uno stato morboso, da una parte necessita di un metodo e una tecnica appropriate, ma da un’altra parte è importante sviluppare la capacità di cogliere (e approfittare) di quegli accadimenti spontanei che ci permettono di portare il paziente a lavorare su quei lati della sua personalità da fare evolvere. In un certo senso è unire alla tecnica la fiducia che l’inconscio collaborerà con noi nei confronti del ripristino della salute.
Ciò che ostacola il procedere di un lavoro terapeutico, di solito, sono le resistenze e le difese attivate dall’Io. Questo è dovuto al fatto che è inevitabile che l’ inconscio ci porti verso scenari della nostra vita dolorosi, allo stesso tempo la tendenza naturale dell’io è quella di scappare dal dolore, ma non sempre e possibile questa strada. Vediamo come tra spinte dell’inconscio verso una certa direzione e le resistenze dell’io che preferisce rimanere nelle sue zone di confort in una psicoterapia e importante prendersi il tempo che ci vuole. Perché quel tempo è un tempo personale scandito dal nostro unico e irriproducibile modo di essere. Ciò che poi si innesca è un lungo viaggio nella nostra interiorità lungo sentieri impervi, e spesso anche paesaggi spettrali. In una psicoterapia alle volte è inevitabile ripercorrere con la mente i luoghi delle antiche ferite, per risanarle, per comprenderle, per dare un senso a degli eventi di sofferenza che abbiamo vissuto.
Ma è da considerare che il colloquio con l’inconscio necessita l’apprendimento di quel suo enigmatico linguaggio. Un po’ come quando si va a vivere in un Paese straniero. All’inizio è difficile comunicare con le persone del posto poi con il tempo si impara la loro lingua e a furia di esercitarsi si diventa sempre più competenti.
Sua Carl Gustav Jung che Paolo Migone ritengono che la psicoterapia produce dei cambiamenti relativi alle capacità di interagire con la propria interiorità.
Ciò che sottolineano è il fatto che, un percorso che ha permesso di interiorizzare delle funzioni esplorative di sé migliora la qualità della vita; e con il tempo queste abilità diventano sempre più autonome. Cioè momenti di riflessione profondi che appartengono prevalentemente ai dialoghi durante le sedute, diventano dialoghi interiori nel mentre del paziente che vive il presente. Ciò che accade in terapia comincia ad estendersi al mondo fuori, e la persona costata come un certo tipo di pensiero è utile, salva da situazioni spiacevoli, conflitti e pericoli.
Poi nel tempo quelle strategie, all’inizio utilizzate raramente diventano sempre più praticate. Paolo Migone afferma che la psicoterapia psicodinamica può produrre dei cambiamenti negli aspetti profondi della personalità in modo stabile e duraturo. Questo significa che dopo un percorso non si verificano ricadute. Quello delle ricadute è un tema molto dibattuto perché avviene di frequente che un paziente stia meglio durante una terapia, poi lasciata la terapia ma a causa di eventi spiacevoli ritorni a stare male. E sappiamo che (a parte persone particolarmente fortunate) la vita è impervia di ostacoli.
Un percorso che interviene sugli aspetti profondi della personalità, invece a lungo termine, non solo produce cambiamenti stabili e duraturi, ma mostra pure che quelle abilità apprese con il tempo si affinano e entrano di diritto nelle abitudini sane.
In un suo scritto Jung fa la stessa osservazione su alcuni suoi pazienti con sua piacevole sorpresa e anche contentezza.
Infatti scrive nel libro Psicologia e Religione:
“L’esperienza ci insegna che esiste anche una categoria relativamente numerosa di pazienti, per i quali la conclusione esterna del lavoro con il terapeuta non rappresenta in nessun modo anche la fine del processo analitico. Succede piuttosto che il confronto con l’inconscio continui, e proprio in modo simile a quello di coloro che non hanno smesso il loro lavoro con il terapeuta. S’incontrano talvolta questi pazienti dopo anni, e si apprende la storia spesso notevole delle loro ulteriori trasformazioni.
Queste esperienze sono state le prime ad aver rafforzato la mia supposizione che nell’anima esista un processo per così dire indipendente dalle circostanze esterne, indirizzato alla ricerca di una meta: esse mi hanno liberato dalla preoccupazione che potessi essere io la causa unica d’un processo psichico improprio (e dunque forse contro natura).”
Jung osservo già a suo tempo ciò che a distanza di un secolo verrà confermato dalla moderna psicoterapia psicodinamica.
Possiamo dire a questo punto che come l’apprendimento di una lingua con il tempo si affina e potenzia, allo stesso modo delle nuove e più sane modalità di essere con il tempo si possono stabilizzare entrando di diritto nelle caratteristiche principali della nostra personalità potenziandoci e migliorando la relazione con noi stessi e gli altri.
Bibliografia
André J. (2008). L’après-coup nella teoria e nella clinica. Psicoterapia e Scienze Umane, XLII, 4: 471-498.
Migone P. (1994). The problem of “real” trauma and the future of psychoanalysis. International Forum of Psychoanalysis, III, 2: 89-96.
Thomä H. & Cheshire N. (1991). Freud’s Nachträglichkein and Strachey’s “deferred action”: trauma, constructions and the direction of causality. Int. Rev. Psycho-Anal., 18: 407-427.
Thomä H. & Kächele H. (1988). Lehrbuch der psychoanalytischen Therapie. 2: Praxis. Berlin-Heidelberg: Springer Verlag (trad. it.: Trattato di terapia psicoanalitica. 2: Pratica clinica. Torino: Bollati Boringhieri, 1993; Trad. inglese: Psychoanaytic Practice. Vol. 2: Clinical Studies. Berlin: Springer Verlag, 1992).
Dott. sa Giulia Iolanda De Carlo
Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalitico
Corso Gramsci,133, Palagianello (Ta)
Tel 3201987812