Il concetto di personalità normale e patologica per Jean Bergeret
Bergeret nel suo lungo lavoro clinico ha cercato di definire cosa si poteva intendere per personalità normale o patologica affinchè il clinico potesse avere un criterio per decidere chi e cosa sottoporre a trattamento terapeutico. Questo tema è stato affrontato sin dalla nascita della psicoanalisi, infatti Freud si è più volte posto il problema circa cosa definire malattia mentale. Infatti è stato proprio lui, che a partire dagli stati morbosi, ha cercato di dedurre quello che poteva essere un funzionamento ottimale e (dunque ideale) cercando di scoprire le leggi sottostanti il mondo psichico; nasce così la “metapsicologica freudiana”. Il presupposto era l’esistenza di un ipotetico modello della mente matura che avesse raggiunto tutti i gradi di sviluppo e non presentasse nessun sintomo. In questo senso Freud ipotizzava che la sanità mentale dovesse sopraggiungere dopo aver attraversato tutte le fasi dello sviluppo psicosessuale e di conseguenza dopo aver superato il complesso edipico. Anche se si ritrovano nei suoi scritti dei ripensamenti su questo modo di intendere la salute mentale. Gli studi successivi hanno messo in evidenza che l’idea di Freud era un po’ estrema in quanto difficilmente si ritrovano individui che corrispondevano al modello di Freud. Ciò che invece più si avvicinava a un concetto di salute psichica veniva da quegli individui che nonostante difficoltà passate e future riuscivano, tutto sommato riuscivano ad rialzarsi ed andare avanti. Sono molti autori si sono espressi sul concetto di normale e patologico, ricordiamo per esempio E. Minkowski (1938), E Goldstein (1951), O. Canguilhem (1966), M. Klein (1952),A. Freud (1968), C.G. Jung (1913).
Le loro teorie hanno permesso di far evolvere quegli aspetti che Freud non aveva avuto modo di sviluppare. Bergeret mette in evidenza come questi autori hanno avuto il merito di sviscerare i vari fattori di un tema scottante. Infatti cosa definire normale e cosa patologico aveva e ha ancora adesso delle importanti ripercussioni sociali.
In questa sua lunga riflessione Bergeret riconosce, come stranamente, le varie teorie hanno contribuito a rendere valida l’opinione dell’uomo della strada, nata da quella saggezza che in alcune circostanze si ritrova anche nell’uomo comune, infatti nel testo “La personalità normale e patologico” scrive:
“Sul concetto di normalità ci si avvicinerebbe dunque ad un’opinione abbastanza simile a quella dell’uomo della strada, che pensa, molto saggiamente, che qualunque uomo, quali che siano i suoi problemi personali profondi, si trova in uno “stato normale” se arriva a convivere con essi e ad adattarsi al mondo esterno e a se stesso, senza paralizzarsi interiormente in una prigione narcisistica, né farsi istituzionalizzare dagli altri (prigione – ospedale – manicomio), malgrado le inevitabili divergenze che si presentano nelle relazioni interpersonali.”
Successivamente nel suo testo nei primi capitoli cerca di dare una definizione di ciò che si può intendere normalità per distinguerla dalla psicopatologia, approfondendo il motivo per cui ritrova nella saggezza popolare una idea abbastanza condivisibile. Lo fa analizzando in profondità l’animo umano, le sue modalità di esistere e reagire alle difficoltà, nonché il modo in cui sin dall’infanzia si struttura la sua personale unicità. Per meglio spiegare il suo concetto riporta nel testo quelle situazioni cliniche che lo hanno accompagnato verso lo sviluppo della sua personale idea. Circa il suo tentativo di dare una definizione lui afferma di aver voluto sintetizzare il suo concetto, ma nonostante i suoi sforzi la sua definizione non poteva ridursi al di sotto delle tante parole che ha usato a causa della elevata complessità del concetto.
Ma sentiamo che definizione di normalità Bergeret darà alla fine di questo lungo viaggio:
“Ecco il mio tentativo di definizione: veramente “sano” non è semplicemente colui che si dichiara tale, né tanto meno un malato che si ignora come tale, bensì un soggetto che conserva in sé le fissazioni conflittuali della maggior parte della gente, e che non ha ancora incontrato sulla sua strada difficoltà interne o esterne superiori al suo bagaglio affettivo ereditario o acquisito, alle sue facoltà personali difensive o adattive; che si permette un gioco abbastanza elastico dei suoi bisogni pulsionali, dei processi primario e secondario, sia sul piano personale che su quello sociale, tenendo in giusta considerazione la realtà e riservandosi il diritto di comportarsi in modo apparentemente aberrante in circostanze eccezionalmente “anormali”.
Bergeret insiste a questo punto sulla necessità di distinguere due concetti fondamentali e da tenere estremamente indipendenti quello di “normalità” e quello di “struttura”, sottolineando come la normalità non dipende dal possedere uno o l’altra struttura. Su questo punto si discosta apertamente dal primo Freud che considerava nella risoluzione del conflitto edipico la personalità normale, e di conseguenza da tutti quegli autori che in seguito hanno abbracciato questa ipotesi ideale. Infatti lui sottolinea come è ampiamente dimostrato dall’osservazione quotidiana che una personalità ritenuta “normale” può entrare in qualsiasi momento della sua esistenza nella patologia mentale — anche nella psicosi —‘ e che, inversamente, un malato mentale, anche psicotico, precocemente e correttamente trattato conserva tutte le possibilità di ritornare ad una situazione di “normalità”. Al punto che, quando si consideri la struttura profonda, non si può più opporre in modo troppo affrettato i “normali” ai “malati mentali”. Bergeret nei suoi lunghi anni di lavoro afferma che non bisogna lasciarsi ingannare dalle manifestazioni esteriori nella quale si trova una struttura, anche se per un periodo prolungato. E’ importante considerare quali sono le sue potenzialità di cambiamento, evoluzione e stabilizzazione, è necessario riflettere secondo una logica delle potenzialità che hanno le strutture di modificarsi. In questo senso che Bergeret fa una netta distinzione tra le strutture che lui definisce stabili e quelle instabili.
Per spiegare questo punto lui afferma:
“Anche riferendosi, almeno in un primo tempo, soltanto a quelle che io chiamo, nelle mie ipotesi personali, strutture stabili (psicotiche o nevrotiche), risulta chiaro che esistono tanti termini di passaggio all’interno di una struttura psicotica fra “psicosi” e una certa forma di “normalità” adattata alla struttura di tipo psicotico quanti ne esistono in una struttura nevrotica fra “nevrosi” e una certa forma di “normalità” adattata alla struttura di tipo nevrotico.”
E per portare prove a questa sua concettualizzazione riporta il caso di René.
Il caso di Renè
René ha 38 anni. In passato non si sono riscontrati episodi patologici di rilievo. Alto, magro, non sembra molto forte fisicamente, né molto accurato nella persona, né molto attento a quello che succede attorno a lui. René è figlio unico di un padre abbastanza anziano e taciturno, notaio in una piccola città, e di una madre molto più giovane, autoritaria e abbastanza aggressiva. E cresciuto soprattutto con la madre, la zia (sorella della madre) e la nonna materna, presso la quale ha vissuto negli anni del liceo e all’inizio dei suoi studi universitari. I suoi studi furono eccellenti, perché René era dotato di un buon Q.I., ma durarono a dismisura, perché non riusciva a scegliere una strada definitiva né una carriera precisa. Ammesso all’Ecole Normale Supérieure per gli studi letterari, ottenne diplomi in tutte le discipline, in particolar modo quelle “scientifiche” (esami che superava facilmente), senza però trascurare scorribande nelle branche del Diritto. Avendo vinto il concorso per l’Agrégation de Lettres, accettò un posto in un grande liceo parigino, poi, dopo qualche anno, pur continuando a insegnare in classes préparatoires, ottenne un posto importante nell’amministrazione centrale. Inoltre faceva alcune ricerche in campo matematico e scriveva poesie. Mostrava, nello stesso tempo, un grande eclettismo ma pochi elementi passionali; si concedeva poche distrazioni, senza tuttavia annoiarsi. La maggior parte dei suoi colleghi, sposati e padri di famiglia, ritenuti “normali” per il fatto che trascorrevano le loro serate partecipando a cocktail party o a spettacoli alla moda, le domeniche sulle strade di campagna, il Martedì Grasso in Vai d’Isère, la Pasqua dalla suocera e il mese d’agosto in Spagna, consideravano lui un “originale”, simpatico ma un po’ inquietante. Davanti a lui, infatti, senza che ciò, beninteso, fosse del tutto consapevole, tutti si sentivano più o meno chiamati in causa e ognuno si adoperava a proiettare su René l’inquietante estraneità che egli suscitava nell’altro all’interno del fragile sistema d’ideale collettivo adottato dai membri del gruppo ritenuto “normale” sulla base di ragioni statistiche o ideali. René aveva desideri sessuali reali, ma spesso faceva in modo che tra la donna e lui si mantenessero rassicuranti distanze e tranquillizzanti difficoltà. Dopo alcune esitazioni decise tuttavia di sposare una giovane vedova, intelligente, attiva e simpatica, accusata però, dalla gente ritenuta “normale”, di essere anticonformista. Il matrimonio ebbe un inizio difficile: la madre di René non era del tutto favorevole; i suoceri, da parte loro, “covavano” un po’ troppo la coppia; René cominciò ad avvertire un certo “groppo” che saliva e scendeva e lo serrava all’altezza della laringe. “Il pomo d’Adamo”, gli dicevano ridendo i suoi amici che avevano letto i trattati divulgativi di psicoanalisi. La battuta sembrava infatti appropriata, tenuto conto delle difficili circostanze matrimoniali. Poi, il ménage si creò una vita indipendente, poco originale rispetto a ciò che gli altri chiamano “originalità” ma abbastanza originale se ci si riferisce a ciò che la maggior parte della gente chiama di solito troppo affrettatamente “normalità”. Nacquero tre bambini, cresciuti in modo “curioso”: i vicini, i parenti e gli amici si mostrano sconvolti dalla libertà di cui essi godono. Questi bambini non vengono tuttavia trascurati del tutto dai loro genitori e non sembrano affatto soffrire a causa delle caratteristiche bohémiennes di questa famiglia che dispone solo di una vecchia abitazione (in un quartiere poco alla moda), di un’automobile curiosa (di marca straniera e poco conosciuta), di una casa per le vacanze poco confortevole, situata in una campagna incantevole ma poco rinomata, di una situazione finanziaria sempre precaria, malgrado il buon salario e qualche supplemento, ecc. René e sua moglie sono spesso ospiti di colleghi e di coppie incontrate in occasione di qualche viaggio o di qualche impegno culturale, non perché sentano il bisogno di brillare in società, ma perché soprattutto René si mostra interessante grazie alla sua vasta cultura e al suo spirito aperto alle zone di investimento narcisistico più diverse riscontrate nei suoi ospiti. Da parte loro, René e sua moglie ricevono volentieri, e senza particolari necessità di apparire, semplicemente la gente che gradiscono vedere, senza sentirsi particolarmente aggressivi se, per necessità pratiche, devono mescolarvi un superiore o un collega altolocato meno simpatico, ma con una buona posizione.
René è “normale” o no?
Bergeret esaminando il caso di René sostiene:
“Senza alcun dubbio si tratta di una struttura edipica con una fissazione materna abbastanza marcata, che ha stabilito gli investimenti affettivi entro certi limiti difficilmente superabili. Ma posto questo, possiamo constatare in primo luogo che non si è prodotto nessuno squilibrio netto, e secondariamente che non si deve temere nessuna minaccia di squilibrio, poiché l’insieme dei meccanismi di difesa e di adattamento sembrano funzionare con evidente duttilità e incontestabile efficacia, tenendo conto della realtà esterna ma soprattutto delle realtà interne del soggetto, dei suoi talenti come dei suoi settori eventualmente minacciati. Si può considerare dunque il caso di René allo stesso tempo come una struttura nevrotica edipica e genitale (questa non è, naturalmente, una malattia in sé, ma una categoria fondamentale del funzionamento psichico) e come un caso ben adattato all’interno di questo gruppo di sstrutture”.
Ritornando sulla questione del concetto di personalità normale e patologica Bergeret ci svela gli autori che più lo hanno influenzato nel suo lavoro clinico sotto questo aspetto; da sottolineare c’è l’influenza di Diatkine (1967). Egli ha il merito di essere partito dagli aspetti esistenziali dell’individuo, e cioè dal fatto che egli abbia proposto come segno di riconoscimento dell’anormalità il fatto che il paziente “non si sente bene” o “non è felice” e insiste sull’importanza dei fattori dinamici ed economici interni al corso dello sviluppo del bambino, sulle possibilità di adattamento e di recupero, sulla tendenza alla limitazione o all’estensione dell’attività mentale e sulle difficoltà incontrate nell’elaborazione dei fantasmi edipici. R. Diatkine mette in guardia contro la confusione così frequente fra diagnosi di struttura mentale e diagnosi di normalità psicopatologica.
Bergeret afferma infatti :
“Questa precauzione non potrebbe essere più motivata. Infatti una diagnosi di struttura psichica stabile, come io la definisco nel corso di questo studio, può essere posta al di fuori di qualsiasi relazione con la patologia, mentre la diagnosi di “normalità” implica, al contrario, un esame del modo in cui il soggetto fa i conti con la sua struttura psichica.”
Per R. Diatkine nell’adulto non si riscontrano strutture “normali”. Ogni nuova situazione rimette in causa l’equilibrio psichico dell’individuo e Diatkine studia, di volta in volta, le difficoltà che possono causare questa sofferenza nel bambino, secondo l’età e gli stadi di maturazione. Egli cerca di determinare il supporto delle ulteriori prognosi relazionali, annoverando tra gli elementi disturbanti tutte le restrizioni delle attività e delle operazioni mentali nuove, in particolare i sistemi sistematicamente ripetitivi, più o meno irreversibili.
Vediamo come Diatkine sia stato da ispiratore per Bergeret e come lui poi abbia portato avanti il suo concetto approfondendolo, personalizzandolo e portando evidenze cliniche al suo pensiero. Oggi i loro contributi hanno permesso a molti clinici di districarsi nel difficile compito di strutturare un progetto terapeutico adatto alle persone che chiedono una consultazione… e al di là delle loro particolarità e bizzarrie… di concentrarsi su quegli aspetti su cui lavorare affinché una persona possa evolversi, diventare più elastica e resiliente, e in definitiva vivere meglio.
Un altro caso esposto da Bergeret mette in evidenza come il concetto di “normalita”:
“sarebbe riservato a uno “stato di felice adeguamento funzionale all’interno di una categoria fissa, nevrotica o psicotica, mentre la patologia corrisponderebbe alla rottura dell’equilibrio di una stessa linea strutturale”.
Mentre, per quanto riguarda il secondo gruppo definito intermedio, vedremo subito che non è facile considerare una reale normalità, in quanto entrano in gioco enormi controinvestimenti energetici antidepressivi e permanenti (a causa appunto del precario adattamento alle realtà interne ed esterne) e in quanto tali organizzazioni, che non sono strutturate nel vero senso della parola, sono instabili.
Il caso di George
Georges ha 42 anni preside di un liceo. Si sanno poche cose della sua infanzia, anche perché non desidera parlarne, dicendo di non riuscIre a ricordarla molto bene. Rimasto orfano abbastanza presto, prima di madre poi di padre, fu adottato da una famiglia di amici dei genitori, nella quale la donna era autoritaria, rigida e poco affettuosa.
Molto ben educato sul piano funzionale, fece degli ottimi studi. Si rivelò un adolescente precoce sul piano intellettuale, poi uno studente meticoloso, e successivamente un insegnante molto attento e molto razionale. Le qualità di precisione, di ordine, di ragionamento teorico, il suo senso dell’autorità, del diritto, del metodo, gli consentirono un rapido avanzamento nella carriera malgrado una certa durezza nelle relazioni con gli allievi e con i colleghi. Sposò a 25 anni una donna della sua stessa età, insegnante come lui e come lui autoritaria e abbastanza rigida. Ebbero due bambini che sembravano godere di buona salute ma che, “per il loro bene” (apparente e razionale), furono messi molto presto in un collegio abbastanza lontano. La coppia lavorò in gruppi di ricerca professionale e filosofica d’avanguardia (anche, se chiaramente borghesi), riempiendo spesso le serate, le domeniche e il tempo libero con riunioni, seminari diversi, ma sempre orientati verso tecniche, posizioni o idee accuratamente scelte in modo da essere sempre in opposizione con il pensiero comune dei colleghi della stessa istituzione. Si potrà vedere in Georges un esempio di soggetto “originale” ma in apparenza normale, ben adattato alle sue realtà interne ed esterne. I principali meccanismi di difesa che egli ha sin qui impiegato possono essere considerati di tipo ossessivo. Ma ecco che nel corso di una seduta di “dinamica di gruppo” organizzata dalla sua Accademia Georges si trova ad essere, all’interno del gruppo di cui fa parte, il soggetto più anziano e di grado più elevato. L’animatore, noto per la sua ambiguità nei confronti dell’Università, in parte lo crede capace di difendersi, in parte, senza dubbio, non è troppo scontento di vederlo vacillare un po’ sulle sue basi. Il moderatore, ancor più caustico nei confronti dell’autorità e preoccupato di non risultare sgradito agli aggressivi, si guarda bene dall’intervenire. Così Georges riceve senza particolari precauzioni (e senza alcuna preparazione) l’intera scarica aggressiva del gruppo. Si sente ben presto colto da un malessere interno, non sa più chi è,(un sintomo di spersonalizzazione) dov’è e cosa fa (un sintomo di derealizzazione). Fugge dalla seduta e, molto eccitato, vaga per la piccola città in cui si svolge la sessione, credendosi perseguitato da chiunque indossi un’uniforme. Al momento in cui viene chiamato un medico, interviene un amico residente nelle vicinanze; riporta Georges a casa, affidandolo ad un suo amico psichiatra che mette il paziente a riposo, lo cura con sedativi e poi lo indirizza da uno psicoanalista. Georges oggi sta bene. Ha ripreso tutte le sue attività professionali, le sue relazioni sociali sono migliorate, le sue tendenze rivendicative si sono corrette. Tuttavia si tratta senza alcun dubbio di una struttura psicotica; il trattamento analitico l’ha dimostrato con un transfert di fusione, un’angoscia di frammentazione e un grave diniego della realtà. Questa struttura, fìno ad allora non squilibrata e rimasta nei limiti di un’incontestabile “normalità”, all’improvviso “è esplosa” sotto i colpi di un’aggressione esterna troppo forte per le difese abituali del soggetto. Ciò ha dato luogo alla spersonalizzazione e al delirio. Georges è passato dallo stato “normale” allo stato “patologico” senza che cambìasse tuttavia la sua struttura profonda. Le difese ossessive hanno momentaneamente ceduto davanti all’intensità dell’aggressione da parte della realtà; egli ha dovuto negare quest’ultima, perché l’annullamento ossessivo delle rappresentazioni pulsionali non poteva più bastare. E così che Georges si è “ammalato” senza cambiare la forma strutturale dell’Io. E sempre senza cambiare lo stato profondo dell’Io, cioè la categoria strutturale, egli è in seguito “guarito”, grazie ad una cura che gli ha permesso di ripristinare difese più efficaci senza tuttavia modificare la sua organizzazione mentale sottostante.
Bibliografia
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Bergeret J., Soulé M. et al. (2006). Anthologie du foetus. Abords Pluridisciplinaires. Paris , Dunod.
Bergeret J. (1984), “La personalità normale e patologica. Le strutture mentali, il carattere, i sintomi”, Raffaello Cortina, Milano, 2002
Freud, S. (1915-17). Introduzione alla psicoanalisi. O.S.F., 8.
Petrini, P. , Giuia. I. De Carlo (2013). Psiche e Cambiamento. Miti, percorsi e processi della relazione psicoterapeutica. FrancoAngeli 2
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Petrini, P. Mandese, A. Capriotti, M. (2018) “Relazioni sentimentali, traumi e trasformazioni. Il metodo PPM nella diagnosi e nel trattamento.” Franco Angeli: Milano.
Grazie per l’attenzione.
Dott.ssa Giulia I. De Carlo
Psicologa, Psicoterapeuta psicoanalitico
Studio Privato: Corso Gramsci 133, Palagianello (Ta) tel 3201987812