“Il Vecchio Saggio è sempre con noi dunque possiamo consultarlo ogni volta che siamo in difficoltà”, afferma lo psicoanalista Jung “basta un po’ di immaginazione”. Jung ritiene che ogni individuo ha in sé una saggezza intrinseca dotata a tutto il genere umano ma farla emergere non è sempre facile. È possibile contattarla grazie ad alcune tecniche che permettono di fantasticare un dialogo con questa entità cercando di ipotizzare cosa risponderebbe alle nostre domande. Questo è proprio quello che Jung fece in occasione di una situazione molto complicata in cui temette di perdere la testa a causa di alcune sue visioni. Scrive nella sua autobiografia “Ricordi, Sogni, Riflessioni” che un giorno ebbe la forte sensazione che un ondata di spettri provenienti da Gerusalemme aveva invaso la sua casa. Egli seguendo le antiche tradizioni orientali che invitano ad accogliere i bisogni delle anime vaganti cercò di fare qualcosa per placare quella moltitudine di presenze, e facendo un’operazione immaginativa chiese a Filemone di intervenire ed aiutarlo. Questo personaggio venne interpellato da Jung (seguendo la tecnica da lui chiamata dell’”immaginazione attiva”) e le informazioni che da lui ebbe furono alla base del contenuto del testo “Sette sermoni ai morti”. Di Filemone Jung afferma che si tratta di una figura da lui spesso interpellata, un maestro e una guida verso cui lui si rivolgeva per chiedere consiglio e risposte. Altre volte era per l’autore una figura autorevole con cui conversava riflettendo su questioni importanti, lo potremo definire (semplicisticamente) una specie di “amico immaginario”. Eppure i sette sermoni sono delle lezioni che Filemone impartisce. Analizzando il contenuto dei sermoni si tratterebbe, in particolare, della dottrina di Basilide. Basilide fu un maestro religioso dello gnosticismo cristiano delle origini vissuto nel secondo secolo dopo Cristo attivo ad Alessandria d’Egitto. Alla fine dell’articolo le testuali parole di Jung circa chi era Filemone per lui, e come se lo rappresentava. In seguito a questa esperienza Jung mise in evidenza la funzione curatrice che alcuni archetipi posseggono manifestandosi attraverso personaggi parlanti. Se in alcune circostanze ciò può accadere spontaneamente per esempio nei sogni quando sogniamo persone che si mostrano premurose nei nostri riguardi, in altri casi è necessario un atto di volontà per accedere a delle risorse importanti per risolvere problemi apparentemente impossibili. Jung era convinto che ogni individuo fosse collegato a tutto il genere umano e che attraverso delle pratiche specifiche fosse possibile collegarsi a una sapienza antica di tipo collettivo presente in tutti ma a livello inconscio. Questa sapienza secondo lo psicoanalista si manifesterebbe attraverso sogni, visioni, simboli e archetipi come per esempio la rappresentazione del VECCHIO SAGGIO. Nelle visioni di Jung Filemone è colui che emergendo dall’inconscio manifesta questa sapienza. Questo personaggio lo ritroviamo nel Libro Rosso ed è il protagonista del testo dei sermoni. I sermoni cominciano con la visione di una folla di gente che venendo da Gerusalemme, lì non avevano avuto risposte, così si erano recati da Jung. Lo psicoanalista fu preso da un gran turbamento interiore in seguito a queste presenze, così chiese intercezione a Filemone. Cominciò ad immaginare cosa avrebbe detto e scrisse tutto ciò che dalla sua interiorità sgorgava spontaneamente. Scrive Jung nell’introduzione al testo:
–“Nel 1916 avvertii l’impulso di dare forma a qualcosa. Ero come sollecitato nell’intimo a formulare ed esprimere ciò che in certo qual modo avrebbe potuto esser detto da Filemone. Nacquero così i Septem sermones at mortuos.”– Ci vollero tre giorni prima che ebbe finito, a quel punto gli spettri scomparvero, così nacque il testo. Fu pubblicato postumo seguendo le stesse indicazioni che accompagnarono il Libro Rosso in quanto Jung temeva che non venisse compreso. Dal testo si evince che Jung attribuisce a Filemone una funzione fondamentale di saggezza e unificazione delle zone d’ombra della nostra interiorità. Filemone viene rappresentato anche nel Libro rosso come il “mago” e anche “l’archetipo del vecchio saggio” (cfr. la lettera di Jung ad Alice Raphael del 1955, cit. in Libro Rosso, f. 139, n. 262), la guida sapiente al “caos” e all’”irrazionale”, ponendosi al di qua del bene e del male, in un atteggiamento morale pre-cristiano considerato dall’autore “pagano”. Filemone fa da guida in questo mondo magico e irrazionale infatti Jung scrive: “Il magico è buono e cattivo, e insieme né buono né cattivo. La magia è pericolosa, perché l’irrazionale confonde”[…]; “Noi abbiamo bisogno della magia per essere in grado di accogliere oppure di invocare il messaggero o il messaggio di ciò che non è comprensibile. Abbiamo riconosciuto che il mondo consta di razionalità e di irrazionalità, e abbiamo capito che la nostra vita ha bisogno non solo della razionalità, ma anche del suo contrario” (Libro Rosso, f. 142/143); […]“La modalità magica si produce da sola. Si aprono le porte al caos, ne scaturisce la magia”(ivi, f. 143/144). Nella autobiografia di Jung leggiamo che Filemone, il “Mago” e “guru”, è lo “psicagogo” (Ricordi Sogni Riflessioni, p. 228) che ci conduce dinanzi al “caos”, dove gli opposti morali e logici perdono la loro certezza, e non può che essere Filemone a introdurci a quel “Dio” (inammissibile nella concezione cristiana!) che è inclusivo del male come del bene. Nel testo “Sette sermoni ai morti” è proprio la figura di Filemone che parla e istruisce rispondendo ai “morti” accogliendo i loro bisogni attraverso i suoi “Septem sermones”. Ma Jung si interroga e si domanda da quali profondità, proviene Filemone? E afferma che viene ben oltre la dimensione psichica personale. Dice Jung che attraverso l’archetipo del vecchio saggio Filemone il “numen” attraverso una forza misteriosa urge ad esprimersi nell’insegnamento dei Septem sermones. Le lezioni che Filemone impartisce appartengono a diverse antiche tradizioni infatti è possibile ritrovarle nell’”immaginazione mitopoietica” alla base di tante filosofie e religioni. Ma ascoltiamo cosa Jung racconta nell’autobiografia di una delle più importanti “figure'” emerse nelle esperienze visionarie di cui abbiamo riferito, “Filemone”:
“Vi sono delle cose nella psiche che non sono prodotte dall’io, ma che si producono da sé, e hanno una vita propria. Filemone rappresentava una forza che non ero io. Nelle mie fantasie conversavo con lui, e mi diceva cose che io coscientemente non avevo pensato, e osservai chiaramente che era lui aparlare, non io. Diceva che mi comportavo con i pensieri come se fossi io a produrli, mentre, secondo lui, i pensieri erano dotati di vita propria, come animali nella foresta, o uomini in una stanza, o uccelli. Nell’aria:’Se tu vedi della gente in una stanza, non dici certo di averla prodotta tu, o di esserne responsabile!”. Cosi egli un po’ alla volta mi insegnò l’obiettività psichica, la ‘realtà dell’anima. Grazie ai colloqui con Filemone mi si chiarì la differenza fra me stesso e l’oggetto del mio pensiero. Anch’egli mi era venuto incontro, per cosi dire, in modo obiettivo, e capii che c’è in me qualcosa che può fare affermazioni per me sconosciute e incomprensibili, o che possono persino essere rivolte contro di me. Da un punto di vista psicologico Filemone rappresentava un’intelligenza superiore. Per me era una figura misteriosa. A volte mi sembrava reale proprio come se fosse una persona viva. Passeggiavo con lui su e giù per il giardino, ed era per me ciò che gli indiani chiamano un ‘guru” (RSR, pp. 227-228).
Conclusione
Jung si domanda da dove emerge “Filemone”? Da quali profondità, ben oltre la dimensione psichica personale? E misteriosa è la forza dell’archetipo che attraverso i sermoni cerca di venire alla luce grazie agli insegnamenti dei Septem sermones. Per Jung è possibile ritrovare “Dio” nell’ immaginazione mitopoietica collettiva alla base di tante filosofie e religioni. Gli enigmi della spiritualità hanno spinto Jung ad estendere l’esplorazione della psiche ben oltre i confini dell’inconscio personale studiato da Freud, e a portarlo oltre, ossia, verso l’inconscio collettivo dei “simboli” e degli “archetipi”.
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Dott.ssa Giulia Iolanda De Carlo
Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalitico
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