KINTSUGI: l’antica arte giapponese per cui l’oggetto rotto riparato, vale più di prima.
Kintsugi è il nome dato all’antica arte giapponese di riparare le ceramiche rotte con una colatura del metallo più nobile: l’oro.
Infatti kintsugi anche detto Kintsukuroi significa appunto “riparare con l’oro”.
La nascita del Kintsugi viene fatta risalire al XV secolo d.C si narra che shogun Ashikaga Yoshimasa, un famoso generale giapponese, avendo rotto la propria tazza di tè preferita, la mandò in Cina per farla sistemare. Le riparazioni, però, furono effettuate con delle brutte legature metalliche. Così, il proprietario affidò la tazza ad alcuni artigiani giapponesi che riempirono le crepe con resina laccata e polvere d’oro. Questa riparazione piacque così tanto che prese piede nel Sol Levante.
In seguito diventò una pratica molto usata che consisteva nel ricomporre e riunire l’oggetto rotto usando come collante l’urushi, una una resina estratta dalla pianta Rhus verniciflua, diffusa in Asia. La crepa veniva stuccata e lisciata e, mentre l’urushi si ascigava, lo si dipingeva in oro. L’effetto della crepa “riparata con l’oro” risultò molto piacevole e permise di aumentare il valore economico degli oggetti (grazie all’utilizzo di metalli preziosi), ma anche quello artistico. Ogni pezzo diventava “unico ed irripetibile”, dato dalla casualità con cui la ceramica si rompe e dal “disegno” che viene ricreato di conseguenza.
Con il tempo la tecnica ha acquisito una serie di significati metaforici e simbolici, legati all’idea delle difficoiltà della vita, di come le persone possono cadere e rialzarsi con coraggio. La metofora si presta al concetto di ricomporre sempre i propri pezzi, non darsi per vinti e soprattutto valorizzare le proprie unicità e le proprie cicatrici.
In psicoterapia la metafora del Kintsugi può spiegare come è opportuno intervenire in caso di trauma psicologico.
Infatti nella pratica clinica, in seguito a questi eventi non sempre si ritiene opportuno ritornare sull’evento storicamente accaduto. Ricortruire inanzitutto uno stato di calma è il primo passo, la persona deve prima sentirsi in un luogo protetto e sentirsi a salvo dai pericoli. In un secondo momento si potrà pensare di rintrodurre la persona in un enturage quotidiano per farle prendere confidenza con la normalità della vita senza necessariamente fare i conti in ogni istante con il senso di pericolo. Sono in una fase successiva sarà possibile iniziare un percorso psicoterapeutico, ricostruire la tazza-uomo con legature d’oro.
E’ fondamentale che in questi casi il processo di ‘riparazione’ dopo un trauma non necessariamente deve passare attraverso la ri-evocazione e ri-processazione del trauma; piuttosto, attraverso meccanismi attivi di riparazione, ricostruzione, ri-generazione, costruendo qualcosa di nuovo.
Nell’arte di kintsugi l’oggetto viene riparato con saldature in oro e quindi, il suo valore, riparato così, è ben maggiore del suo valore precedente, pre-trauma, quand’era integro. In psicoterapia dovremmo impegnarci nella ricerca di dare al paziente un nuovo senso a ciò che gli è successo nella vita, affinchè la riparazione possa tramutarsi in un arricchimento. Così come il vaso giapponese è diventato un opera d’arte preziosa dopo la riparazione, anche l’esperienza traumatica una volta affrontata può esprimere quel potere arricchente per la persona che lo ha subito. Ogni ostacolo nella vita porta sofferenza, ma ogni ostacolo superato e affrontato porta conoscenza e saggezza. Bergeret un famoso psicoterapeuta che si è molto occupato di salute e malattia psichica afferma che la persona sana non è quella che non ha subito difficoltà, traumi e ferite ma quella che nonostante tutte queste esperienze è riuscita, ogni volta, a trovare strategie per rialzarsi e poi ricostruirsi.
Grazie dell’attenzione.
Psicologa, Psicoterapeuta psicoanalitico
Dott.ssa Giulia De Carlo
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