Un aspetto molto complesso, ma fondamentale da tenere in considerazione, è che la mente partecipa alle vicissitudini della vita con modalità che possono essere più o meno evolute in differenti circostanze. Dunque esiste una duttilità della mente che le permette di oscillare contemporaneamente tra posizioni che appartengono a livelli di funzionamento dissimili. La comprensione di questo fenomeno è di fondamentale importanza perché è su questi scenari che si gioca una psicoterapia. Al di là della struttura di base è possibile promuovere funzionamenti più evoluti permettendo elaborazioni sempre più raffinate. Infatti si è osservato come anche pazienti psicotici, dopo un lungo percorso terapeutico, abbiano sviluppato empatia, resilienza e competenze relazionali importanti. Per comprendere la flessibilità con cui la psiche si muove è indispensabile fare riferimento alle teorie che si sono mosse in questa direzione. È doveroso riconoscere che il primo promotore di questa modalità di pensiero è stato Freud. I concetti di regressione, fissazione e transfer seguono questa logica, in quanto mettevano in evidenza la possibilità di tornare indietro nel tempo in scenari antichi in seguito a frustrazioni relazionali. Successivamente gli studi della nascente psicologia dell’io ha permesso l’evoluzione di questa modalità di pensiero. La base da cui gli autori successivi si sono mossi prende in considerazione lo sviluppo psicosessuale di Freud e le vicissitudini legate alle pulsioni di autoconservazione e libidiche. Questa impostazione deriva dal constatare che nella crescita i meccanismi di difesa nascono dalla pulsione aggressiva che è di natura auto conservativa. Mentre ciò che riguarda la pulsione libidica nasce dal piacere e apre verso la relazionalità. Dunque si può intendere questo fenomeno pensando all’esistenza di due diverse correnti energetiche che scorrono e si influenzano reciprocamente seguendo l’evoluzione dell’individuo. Un evoluzione che poggiandosi sul soma e sul suo cambiamento fisico dalla nascita in poi promuove diversi livelli di sviluppo in differenti ambiti di vita relazionale, emozionale, difensivo, sociale ecc.. È da mettere in evidenza che il progredire di modalità sempre più mature è spesso minacciato da ostacoli ambientali durante la crescita. È frequente che cure genitoriali inappropriate o eventi di vita traumatici possano produrre stalli a tale evoluzione. Le conseguenze di questo tipo di avvenimenti può condurre a arresti nel processo evolutivo, o a problematiche che in periodi successivi della vita possono ricomparire. Per entrare in questa ottica di pensiero è doveroso riprendere dei concetti base provenienti da diversi autori, di conseguenza verranno esaminati i contributi di:
Freud sulla sviluppo delle fasi psicosessuali e la teoria delle pulsioni.
Anna Freud, riprendendo le tesi del padre lei è la promotrice di un ottica di pensiero in cui la mente può oscillare tra funzionamenti più evoluti e scendere in modalità regredite.
Brunswik è la prima che ha sviluppato uno schema che mette in evidenza le ricadute sul piano psicopatologico di arresto evolutivo. Su questa base teorica Benassy e poi Bergeret hanno poi sviluppato le loro posizioni teoriche rispetto la psicopatologia.
Erik Erikson riprende i concetti di Anna Freud e li sviluppa ulteriormente permettendo di comprendere ancora meglio il funzionamento mentale che dalla nascita abbraccia tutto il ciclo di vita.
Melania Klein, Bion, Balint, Kernberg e altri rappresentano nello scenario quegli autori che sulla scia di questo modo di rappresentare i meccanismi psichici hanno sviluppato modalità diagnostica utili per impostare strategie di intervento. Questo modo di intendere il processo terapeutico permette di sfruttare tecniche psicoterapeutiche diverse sapendo che l’obbiettivo ultimo è quello di portare un paziente a funzionare secondo linee di pensiero più funzionali e complesse a prescindere dalla sua struttura di base.
LA FLESSIBILITÀ DELLO PSICHISMO: “Reversibilità degli stati Regressivi a fine evolutivo”
Non è una cosa inconsueta trovarsi osservatori di persone in stato di ansia, ostilità, alterazione emotiva e squilibrio sia in campo clinico che non. Alle volte si tratta di momentanei stati di sofferenza altre invece potrebbero essere conclamate condizioni psicopatologiche.
Sia che ci si trovi in uno stato che nell’altro, ormai è una idea comune il fatto che le qualità degli stati mentali hanno un andamento oscillatorio. Ci sono periodi in cui gli individui mostrano più calma e buon senso e altri, invece in cui perdono i punti di riferimento diventando emotivi e contraddittori entrando in stati detti “regressivi”. La stessa cosa accade anche nella psicopatologia, i pazienti possono mostrare oscillazioni in cui è possibile osservare un’alternanza tra periodi di maggiore o minore gravità. Questo aspetto della flessibilità delle capacità psichice, intellettive e della mentalizzazione non è un argomento semplice. Per questo motivo nonostante i tanti autori che se ne sono occupati la questione è ben lontana da essere stata ampiamente conclusa. Eppure l’ambito della flessibilità delle qualità mentali per la psicoterapia è un aspetto fondamentale. Questo perché nel momento in cui una persona chiede un intervento arriva di solito in uno stato di alterazione e di profonda crisi; le sue abilità nel fronteggiare le difficoltà non sono bastate a permetterle di rimanere salda in uno stato di salute. Quasi in modo automatico l’idea che sopraggiunge a un clinico è quella di supportare in un primo momento la persona affinché esca dal tumulto emotivo iniziale, si plachi l’intensità degli stati di ansia, angoscia e depressione che vive e possa rimpadronirsi di una sempre maggiore capacità di ragionare su ciò che gli succede. In questo senso è un’operazione di Holding e di accoglimento iniziale. Contemporaneamente il suo pensiero va nella direzione di riflettere circa cosa può fare per il paziente e si pone in un’ottica di capire che risorse e flessibilità psichiche possiede per ri-adattarsi e fronteggiare le difficoltà. Seguendo questo ragionamento il clinico può supporre due differenti mete terapeutiche, uno a breve termine e l’altro a lungo termine. Il primo può riguardare il rimettere in gioco le abilità momentaneamente silenziate, dunque capacità che la persona possedeva già ma di cui non poteva goderne in quel determinato periodo. La seconda meta potrebbe essere quella di far sorgere risorse nuove, per esempio nuovi meccanismi di difesa, nuove capacità introspettive, più accurate abilità previsionali, grazie all’approfondirsi di una relazione nuova, dove l’obbiettivo è quello di uscirne rinnovati. Vediamo che questo moto di pensiero mette in causa temi aventi a che fare concetti complessi riguardanti quei fenomeni che possono far crollate organizzazioni difensive psichiche a favore di possibili ricostruzioni “ a fine evolutivo” , – riprendendo le parole di Anna Freud e seguendo gli sviluppi che ne ha promosso Bion – . Ma per comprendere questi concetti è necessario fare un passo indietro riprendendo quelle teorie dell’eziogenesi dello psichismo. Quel lungo percorso delle linee evolutive che fa in modo che insorgano sempre più affinate abilità dell’Io, e come queste possano attivarsi ma anche disattivarsi in seguito a forti eventi di stress. In questo senso gli autori che hanno dato un contributo circa questi fenomeni hanno parlato di concetti quali: regressioni, fissazioni, progressioni evolutive, reversibilità da stati regressivi e flessibilità delle potenzialità psichiche. Secondo questa linea di pensiero vediamo che è stata la psicoanalisi con i suoi sviluppi ad aver dato un primo contributo importante in merito. In questo elaborato verranno esaminati alcuni autori che hanno affrontato questo complicato argomento senza però la pretesa di completarlo. In un certo senso è un “work in Progress”. Pertanto ritornando ai temi da indagare ci si può muovere partendo dai primi studi che hanno visto l’emergere inizialmente dei concetti riferiti alla regressione e alla fissazione di stampo psicoanalitico procedendo verso gli sviluppi della moderna psicodinamica analizzando volta per volta i contributi di autori come Michael ed Enid Balint, Anna Freud e Wilfred R. Bion. I temi da trattare riguardano in linea generale l’esame delle relazioni d’oggetto e lo sviluppo di concezioni riguardanti quelle dinamiche parentali che diventano permanenti e finiscono per rappresentare degli schemi costanti e ripetitivi d’agire. Questi schemi possono diventare le caratteristiche peculiari della personalità di un individuo e mantenersi per l’intero ciclo di vita. La sua salute mentale a questo punto dipenderà dalla capacità di fronteggiamento di questo sistema dalle difficoltà della vita. Alcuni potranno essere affrontati senza troppe ripercussioni altri invece saranno responsabili del crollo delle difese e dell’emergere di sintomi o di modalità regressive tipiche di stadi dello sviluppo precedenti a quelli apparentemente mostrati nel comportamento esteriore. Infatti le fluttuazioni che possiamo vedere nelle capacità delle persone di reagire nei confronti delle avversità testimoniano questa variabilità. Su questo piano vedremo successivamente che proprio le teorie di Anna Freud mettono in evidenza che le regressioni, e dunque i funzionamenti definiti bassi della psiche possono essere “transitori “ o “permanenti” e dunque rappresentare quell’elemento su cui lavorare.
Eventi stressanti, traumi paure, delusioni, cambiamenti possono creare degli shock tali da portare l’individuo a reagire con queste modalità. In quel caso è possibile immaginare che nell’immediato le emozioni violente possano provocare strane reazioni, ragionamenti irrazionali o persecutori ecc.. Nel migliore dei casi poi con il tempo la situazione si ridimensiona. Questa capacità della mente di placarsi dal temporale delle emozioni è l’elemento essenziale per permettersi di analizzare i problemi con maggiore lucidità. Questa elasticità delle capacità riflessive è un aspetto molto interessante della personalità perché è su queste doti che il terapeuta si appoggia per intraprendere un lavoro con il paziente.
Le abilità relazionali e di adattamento, si è visto, hanno un andamento fluttuante, infatti, salgono e scendono in base a diversi fattori. Questo tema è un aspetto fondamentale nel lavoro clinico perché rappresenta quella materia psichica malleabile su cui poter trovare un punto d’appoggio a fine progressivo e di potenziamento delle capacità di un individuo. E da tenere in considerazione che questi concetti ci conducono verso temi importanti quali la stabilità dell’Io, flessibilità dei meccanismi di difesa, la forza dell’io e gli autori che li hanno sviluppati. Per esempio ad Anna Freud va il merito di aver messo il punto sulla questione delle modalità in cui l’Io si modifica in conseguenza alle tensioni che deve affrontare. Infatti la Freud per prima ha scritto sulla “Reversibilità degli stati Regressivi a fine evolutivo”. Un aspetto centrale di questa trattazione riguarda le capacità mentali di passare da uno stato morboso a uno di maggiore sanità. In un testo molto chiamato “normalità e patologia nel bambino” Anna Freud inizia ad affrontare questo aspetto riferendosi all’infanzia, ma poi lo esporta anche nei confronti della vita adulta. In questo senso è come Freud , un’antesignana di questo modo di esplorare il fenomeno. Anna Freud per prima arricchì il concetto di regressione con quello di reversibilità e flessibilità. Infatti agli inizi Freud intendeva la regressione solo in senso patologico, Anna Freud invece portando avanti i suoi studi sull’infanzia mise in evidenza come per la crescita psichica e per la salute sia indispensabile la possibilità di avanzare e regredire sulle linee evolutive. Anche la teoria bioniana ha dato un contributo in merito a questi temi. Di seguito verranno approfonditi i vari concetti alla base dei processi di regressione è reversibilità in seno alle fasi evolutive di tutta la personalità.
Studi e definizione dei concetti di fissazione, regressione, reversibilità e flessibilità psichica
I termini riferiti ai concerti di fissazione e regressione sono i primi ad essere stati esposti e sviluppati. Questo perché risalgono alle prime concettualizzazioni di Freud relative agli studi dello sviluppo psicosessuale. Freud formulò questi concetti poiché in molti suoi pazienti ritrovò fenomeni appartenenti a periodi pregressi dell’infanzia che avevano lasciato una impronta importante nell’adultità. In questo periodo formulò i primi concetti di regressione e di fissazione della libido, concetti che assunsero un certo peso a partire dall’osservazione dei fenomeni di transfert. Infatti si rese ben presto chiaro che le traslazioni fossero delle riedificazioni del passato spostate su persone del presente. Dunque una forma di regressione temporale. Inoltre Freud nelle perversioni ritrovò molti sintomi e comportamenti risalenti a periodi dell’infanzia che avevano assunto un carattere essenziale nella sessualità adulta. Queste osservazioni diedero il via a una serie di studi in merito, ricordiamo Reich sui fenomeni di transfert negativo e la figlia di Freud, Anna Freud, sulle diverse forme in cui si può verificare la regressione. Nello scenario moderno psicodinamico notiamo, invece, come la regressione viene generalmente considerata un meccanismo di difesa inerente all’organizzazione libidica, che consiste nel ritorno a uno stadio precedente dello sviluppo o dell’Io, in risposta a una frustrazione della soddisfazione libidica. Questo meccanismo comporta il ritorno ad un funzionamento o ad uno stato psichico più obsoleto, a modalità difensive primitive o il ritorno ai primi oggetti relazionali. Il ritorno a una precedente modalità di funzionamento è vissuta come rassicurante nei confronti dell’angoscia creata da difficoltà o conflitti attuali.
Nell’Enciclopedia della Psicoanalisi leggiamo che la regressione viene definita come “un ritorno in senso inverso da un punto già raggiunto a un punto anteriore ad esso, in un processo psichico avente un senso di percorso e di sviluppo”. Intesa nel suo senso topico, la regressione si attua, secondo Freud, lungo la successione di sistemi psichici che l’eccitazione percorre normalmente in un dato verso. Nel senso temporale, la regressione suppone una successione genetica e designa il ritorno del soggetto a fasi superate del suo sviluppo (stadi libidici, relazioni oggettuali, identificazione, ecc.) nel senso formale, la regressione designa il passaggio a modi di espressione e di comportamento di un livello inferiore dal punto di vista della complessità, della strutturazione e della differenziazione (Laplanche, Pontalis, 1968). Volendo approfondire gli aspetti storici vediamo che il termine regressione compare per la prima volta in letteratura nell’Interpretazione dei sogni (1900) quale meccanismo di difesa di secondaria importanza. Freud l’utilizza per spiegare la natura allucinatoria dei sogni: “la direzione normale o progressiva dei processi psichici dell’adulto procede dalla percezione dello stimolo al pensiero” e quindi all’azione; qualora essa sia impossibile od inadeguata si può verificare un movimento all’indietro, o regressivo.”
Infatti nella teoria psicoanalitica il processo di regressione appare molto presto nei lavori di Freud come meccanismo che produce e spiega i fenomeni di allucinazione e sogno. Nell’interpretazione dei sogni, Freud ritorna al concetto di regressione per supportare le sue ipotesi riguardanti, da un lato, il lavoro dei sogni e, dall’altro, i processi patologici delle psiconevrosi; formula la seguente definizione: «chiamiamo regressione il fatto che nel sogno la rappresentazione ritorna all’immagine sensoriale da cui è sorta in un momento qualsiasi »[3].
Freud usa questo stesso concetto per esaminare lo sviluppo libidico, in termini di organizzazione della sessualità infantile e le sue implicazioni nei processi psicopatologici negli adulti. Nei “Tre saggi sulla teoria sessuale”, afferma: «Tutti i fattori che ostacolano lo sviluppo sessuale manifestano la loro azione in quanto provocano una regressione, un ritorno a una fase precedente di sviluppo». Nel 1910 descrive questi processi negli adulti come risultato della doppia regressione: «Temporale nella misura in cui la libido, il bisogno erotico, ritorna agli stadi di sviluppo precedenti e […] formale, poiché per la manifestazione di questo bisogno si usano i mezzi di espressione psichici originali e primitivi»[4]. Nella vita diurna tale movimento giunge a riattivare la traccia mnestica corrispondente, ed in quella del dormiente può regredire sino a far rivivere gli elementi percettivi dell’esperienza, provocando una deformazione della realtà esterna. Il concetto di regressione è in realtà considerevolmente più antico, anche se risulta difficile definirne la data di introduzione; esso nasce probabilmente dal contatto di Freud con Carl Brucke o con Josef Breuer: quest’ultimo utilizza l’aggettivo “retrogrado” negli Studi sull’isteria (1895), nella stessa accezione in cui l’utilizzerà Freud nell’Interpretazione dei sogni (1900). Accanto all’idea di regressione quale meccanismo di difesa, Freud concepisce successivamente quella che vede la regressione quale importante fattore nella patogenesi di nevrosi, psicosi, perversioni. Gli antecedenti di tale concettualizzazione sono rintracciabili negli studi embriologici, che sono utilizzati infatti a fini illustrativi nella XXII lezione dell’Introduzione alla psicoanalisi (1915-1917), ma soltanto nella terza edizione dei Tre saggi sulla teoria sessuale (1915) egli afferma esplicitamente che la regressione è un importante fattore patogeno. Tuttavia già nel 1909, nella IV e V conferenza sulla psicanalisi, Freud accenna alla regressione come involuzione della pulsione sessuale che può dare luogo a malattie (cfr., Freud S., 1909; trad. it., 1974, p. 167 e sg.). La malattia può essere una fuga da una realtà insoddisfacente compiuta sulla via della regressione, cioè un’involuzione a fasi precedenti in cui era presente il soddisfacimento sessuale. La regressione avviene secondo due modalità: temporale, in cui la libido si attacca a fasi precedenti; formale, in cui per soddisfarla si usano i mezzi originari di espressione psichica. Entrambe riportano all’infanzia e producono una condizione infantile di vita sessuale. È l’impatto con una realtà sfavorevole che potrebbe causare il desiderio di staccarsi da questa: se si possiede del talento artistico, le fantasie di fuga dalla realtà sono trasformate in creazione artistica, altrimenti la libido, attraverso la regressione, giunge alla reviviscenza dei desideri infantili e quindi della nevrosi. La regressione si configura inoltre quale elemento del transfert, sovente al servizio della resistenza: Freud considera il transfert utile al trattamento solo nella forma che verrà definita da Bribing “alleanza terapeutica”, ovvero nella sua forma adulta, positiva e inibita rispetto allo scopo; da esso ritiene necessario scindere, tramite l’interpretazione, il transfert negativo e quello regredito, derivante da reviviscenze dei rapporti con le immagini primarie (Freud S., 1912; trad. it., 1974). Anche in Ricordare, ripetere e rielaborare (1914), pur riconoscendo che il transfert può essere talora l’unica possibile espressione di un passato dimenticato e che esso è parzialmente indotto dalla natura del trattamento stesso, Freud consiglia di rispondere a tali fenomeni tramite la sola interpretazione, praticando l’astinenza o la privazione. Riconoscerà in seguito nel transfert una espressione della coazione a ripetere, manifestazione a sua volta della pulsione di morte (Freud S., 1920; trad. it., 1977). Freud parla di funzione terapeutica della regressione soltanto in un brano ossia “Per la storia del movimento psicoanalitico (Freud S., 1914, trad. it., 1975, p. 384-385), dove sostiene che nel caso di Dora[1] si era resa necessaria “una lunga deviazione che la riportava indietro agli anni della fanciullezza”, per risolvere gli effetti patologici di un trauma presente ed indicando con ciò l’importanza della regressione nella tecnica analitica. Egli afferma di avere già osservato tale processo nei trattamenti condotti con la tecnica catartica insieme a J. Breuer.
I contributi di Anna Freud circa i fenomeni della Flessibilità psichica come Progressione, Reversione e ritorno dalla Regressione
Volendo partire dalle definizione attuali presenti nei manuali di psicologia circa i concetti di flessibilità e reversibilità possiamo avvalerci del Dizionario di Psicologia di Umberto Galimberti (Galimberti U., 1992). Leggiamo che secondo il dizionario la Flessibilità è “un fattore psicologico che designa la capacità di adattamento e di modificazione di una persona e la molteplicità dei suoi comportamenti in relazione ai fatti ulteriori o esterni che attraversano la sua vita.”
La reversibilità è proprietà di una sequenza i cui termini sono suscettibili di un’inversione. Sono state date diverse interpretazioni in funzione delle differenti branche della psicologia ne esamineremo alcune.
- Psicologia della forma: si parla di reversibilità a proposito di quelle immagini contigue dove, in tempi diversi, l’una fa retrocedere l’altra a sfondo della figura emergente.
- Cognitivismo: J. Piaget ha parlato di reversibilità a proposito di quell’operazione mentale che il bambino acquisisce tra i 6 e gli 11 anni nello stadio delle operazioni concrete quando è in grado di ritornare al punto da cui è partito per compiere un’operazione, con la consapevolezza che si tratta dello stesso percorso e che la cosa non cambia per l’inversione di senso. Comprende due operazioni: a) inversione o negazione: ogni operazione compiuta in un senso si può anche fare nel senso opposto. b) Compensazione o reciprocità: in un sistema è possibile compensare l’effetto di un’operazione anche nel senso opposto (ad es. la conservazione del volume).
Questi contributi sono stati utili per mettere in evidenza come questi fenomeni sono stati osservati in vari contesti nel presente ma anche nel passato andando a stimolare ulteriori approfondimenti nel campo clinico. Infatti dobbiamo dare merito a Anna Freud l’aver dato forma e spiegazioni a questi aspetti. Secondo la teorizzazione di A. Freud, lo sviluppo psichico procede seguendo le cosiddette linee evolutive, che formano il processo evolutivo, risultante dall’intreccio tra il patrimonio congenito dell’individuo, l’ambiente, e la maturazione e strutturazione interna della personalità. Queste linee evolutive possono essere percorse più o meno armonicamente e gli stadi di sviluppo possono essere più o meno raggiunti oppure falliti. L’autrice estende tale approccio evolutivo dalla psicologia infantile alla salute mentale adulta, nonché alla psicopatologia. Anna Freud nella sua opera del 1965 , Normalità e patologia nell’età infantile: valutazioni dello sviluppo, parla della regressione come principio dello sviluppo normale: “Non vi è dubbio che un simile movimento progressivo sottenda anche lo sviluppo psichico, cioè che anche nel dispiegamento dell’azione pulsionale, di impulsi, di affetti, della ragione e della moralità, l’individuo percorra vie già specificamente determinate. […] Ma […] sul piano psichico dobbiamo fare inevitabilmente i conti con una seconda ulteriore serie d’influenze che agiscono in direzione opposta, cioè con le fissazioni e le regressioni. Soltanto l’attento vaglio di questi due movimenti, quello progressivo e quello regressivo, e delle loro interazioni, ci permette di spiegare […] ciò che accade lungo le linee evolutive […]” (Freud A., 1965, trad. it. 1969, p. 829).
L’autrice distingue tre tipi di regressioni, partendo dall’originale distinzione freudiana di regressione topica, regressione formale e regressione temporale, descrivendoli in termini strutturali: “[…] la regressione può avvenire in tutte e tre le parti della struttura della personalità: nell’Es, nell’Io e nel Super-io; essa puó riguardare tanto un contenuto psichico quanto i metodi di funzionamento; la regressione temporale riguarda gli impulsi diretti ad una meta, le rappresentazioni oggettuali, e il contenuto della fantasia; la regressione topica e quella formale riguardano le funzioni dell’Io, i processi secondari del pensiero, il principio di realtà […].” (id., p.830)
La distinzione fondamentale è, secondo l’autrice, tra la “regressione temporanea” e quella “permanente”. Infatti, mentre la regressione temporanea rappresenta una capacità di movimento, di oscillazione indispensabile per la crescita psichica e per la salute mentale, nel momento in cui la regressione permane diventando irreversibile, viene a mancare tale flessibilità e si arresta il processo evolutivo (Freud A., 1963; trad. it., 1979, pp. 711 – 712). Anna Freud scrive:“[…] le regressioni delle pulsioni come quelle dell’Io e del Super-io sono processi normali che hanno origine nella flessibilità dell’individuo immaturo. […] esse sono al tempo stesso al servizio dell’adattamento e delle difese, e in entrambe le funzioni aiutano a mantenere lo stato di normalità. […] quest’aspetto benefico della regressione riguarda solo i casi nei quali il processo è temporaneo e spontaneamente reversibile. […] Accade […] che le regressioni, una volta instauratesi, divengano permanenti; le energie pulsionali rimangono allora deviate dalle mete adeguate all’età, e le funzioni dell’Io e del Super-io ne restano menomate tanto da danneggiare in modo grave ogni successivo sviluppo progressivo.” (Freud A., 1965; trad. it., 1969, p. 838).
Quando avviene ciò , la regressione diventa un fattore patogeno, in quanto il sano “traffico a due sensi”, come nomina Anna Freud la reversibilità lungo le linee evolutive, viene bloccato. A causa delle complesse interazioni tra movimenti progressivi e regressivi esistono, quindi, innumerevoli tipi di disarmonie, scompensi, complicazioni, cioè: varianti della normalità. (cfr. id., p.839) Citando ancora l’autrice: “[…] la regressione cessa di essere un fattore positivo se i suoi risultati diventano permanenti invece di essere passibili di una reversione spontanea. In questo caso le varie istanze operanti all’interno della struttura psichica (Es, Io e Super-io) devono trovare nuovi rapporti reciproci sulla base del danno causato dalla regressione. E proprio questi effetti postumi della regressione provocano le più dannose ripercussioni sulla personalità e devono essere considerati come agenti patogeni.” (id., p. 854). L’attenta analisi della flessibilità delle strutture psichiche e la loro capacità di spontanea reversione dallo stato regressivo vengono indicati da A. Freud come criteri base per l’accertamento diagnostico del paziente a scopo terapeutico. Questi dati diventano validi indicatori della possibilità da parte del paziente di affrontare un’analisi di tipo psicoanalitico e di stabilire una relazione di transfert col terapeuta. Scrivono, infatti, altri autori dell’indirizzo psicoanalitico: “ Nel transfert il soggetto riproduce una regressione controllata che gli permette di rivivere, al fine di comprendere, per meglio integrare conflitti e problematiche infantili.”(Lis A., Venuti P., De Zordo M. R., 1995, p. 228). E ancora: “[…] uno dei criteri per la valutazione della possibilità che una persona affronti un trattamento psicoanalitico è che essa sia in grado […] di rinunciare, parzialmente e temporaneamente, al contatto con la realtà. […] Deve cioè essere capace di oscillare tra il pensiero di tipo secondario e quello di tipo primario. Deve avere un Io abbastanza elastico per alternare alla regressione un pronto ritorno alla realtà.” (Greenson, cit. in Semi, A.A., 1992, pp. 52 – 53). Anche altri autori, come E. Kris, Schilder, L. Bellak, sottolineano l’importanza della regressione come abbandono temporaneo e ricorrente dell’adultità, indispensabile per equilibrare e normalizzare l’adultità stessa; essi parlano infatti di regressione al servizio dell’Io (cfr. Trentini G., 1995).
I contributi dei coniugi Balint sul fenomeno della regressione: l’area del difetto fondamentale
Il periodo che seguì la messa in pratica della tecnica psicoanalitica mise in evidenza le differenze sostanziali nelle capacità di intendersi tra paziente e terapeuta. Alcuni mostravano buone capacità introspettive e la possibilità di una certa intesa con l’analista grazie a spiccate doti di ragionare in termini simbolici. Altri pazienti invece mostravano caratteristiche spiccatamente differenti che ostacolavano la messa in pratica di un tipo di relazione basata sull’analisi e l’interpretazione degli eventi, dei sogni del passato ecc. Questi pazienti potevano mostrare tratti caratteriali diversi, alle volte basse doti di intelligenza, contraddittorietà, poca riflessività, scontrosità e molte altre. La prima ipotesi che avanzarono i i coniugi Balint fu che molto probabilmente questi pazienti potessero collocarsi a diversi gradi di sviluppo, ma probabilmente al di sotto dello stadio edipico. Ne conclusero che il tipo di relazione rispecchiava il grado raggiunto dall’io. Ipotizzarono che per varie cause l’evoluzione dell’io potesse presentare degli arresti, dei blocchi o delle modalità disfunzionali chiamò “area del difetto fondamentale” quel nucleo da cui traeva origine una certa modalità relazionale in analisi, un certo sintomo o dei veri e propri disturbi. I coniugi Balint sulla questione dell’analizzabilità dei pazienti (Balint M., Balint E.,1968; trad. it., 1983) osservarono che, limitandosi alla sola interpretazione, venivano esclusi dall’analisi tutti quei pazienti il cui problema si collocava al di fuori dell’area edipica. Balint ipotizzava infatti la presenza di due livelli del lavoro analitico: l’area edipica, caratterizzata da un rapporto di tipo triangolare, dal conflitto, e dal linguaggio adulto, e l’area del difetto fondamentale, duale e priva di conflitti in cui il linguaggio perdeva il suo significato convenzionale. Tale difetto fondamentale, coinvolgente tutta la struttura biopsichica dell’individuo, sarebbe esperito quale mancanza e deriverebbe da una notevole discrepanza, nelle prime fasi di formazione della genesi dello psichismo, fra i bisogni bio-psicologici da una parte e dall’altra le cure materiali e psicologiche disponibili al momento della richiesta. Oltre alle prime due aree i Balint ne ipotizzarono una terza, l’area creativa, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi oggetto; è questa l’area della creazione artistica, delle discipline matematiche, della filosofia, del raggiungere un’intuizione, in cui il soggetto, “solo od accompagnato” da quelli che i Balint definiscono “pre-oggetti”, si appresta a creare l’oggetto. Si tratta di un’area non toccata dal transfert e perció irraggiungibile con il metodo analitico. I Balint considerano la regressione un fenomeno relazionale che riporta all’area del difetto fondamentale e si presenta nella situazione analitica nella forma di un cambiamento di atmosfera: le interpretazioni dell’analista non sono più vissute dal paziente in quanto tali, ma come aggressione o viceversa segno di affetto; se l’analista non riesce ad entrare in sintonia con il paziente, questi non mostra aggressività, ma una “strana mescolanza di profonda sofferenza, assenza di scontrosità ed incrollabile determinazione ad andare avanti” (id., p. 140); l’analista prova difficoltà a mantenere la passività empatica e, se rimane impassibile, costringerà il paziente ad abbandonare il trattamento, o ad identificarsi con lui stesso, vissuto come aggressore. La gratificazione può, d’altra parte, condurre il paziente ad una pericolosa spirale di assuefazione, causata dalla tipica mancanza di gratitudine oppure dall’avidità. In alcuni casi, tuttavia, quando ai bisogni che il paziente manifesta viene data soddisfazione e ai vistosi sintomi segue uno stato di tranquillo benessere, si verifica un cambiamento del carattere e delle modalità di rapporto con gli oggetti, tale da far definire ai coniugi Balint questo fenomeno nei termini di “inizio” (id., p. 259). Ció che è primario in esso non è la gratificazione, quanto l’atmosfera di assoluta fiducia, arglos, utilizzando il termine tedesco sull’esempio di Balint (id., p. 263), che consente al paziente di sperimentare nuove modalità di rapporto con gli oggetti; si tratta di una regressione alla fase antecedente all’emergere degli oggetti primari stessi, la fase dell’armoniosa e compenetrante mescolanza (Balint M., Balint E., 1959; trad. it., 1983), in cui l’analista deve riuscire ad assomigliare alla sostanza flessibile ed indistruttibile che precedeva la comparsa degli oggetti. I Balint ipotizzano quindi che esistano due forme di regressione, una maligna ed una benigna, che denomina rispettivamente “regressione per la gratificazione” e “regressione per il riconoscimento” (Balint M., Balint E., 1968; trad. it., 1983, pp. 277 e sg.). Nel primo caso la regressione non giunge probabilmente che al rapporto con gli oggetti parziali e la gratificazione è infatti attesa dall’esterno, i pazienti tendono ad aggrapparsi per timore di una frattura. Il pericolo di stati simili all’assuefazione è costante. I bisogni si mostrano pericolosamente intensi, come indicato da Freud, e spesso sono presenti i sintomi di una grave patologia isterica nel quadro clinico ed elementi genito-orgastici nel transfert. I Balint ritengono che il caso di Anna O., così come quelli che Freud incontrerà successivamente, appartenesse a tale categoria, e che a ciò avesse dovuto il suo parere negativo nei confronti degli esperimenti tecnici condotti con pazienti regrediti quali quelli di Sandor Ferenczi. La regressione benigna è invece caratterizzata da un facile accesso alla fiducia che caratterizza i rapporti primari e dai bisogni che si presentano solo moderatamente intensi. Questa regressione ha quale fine l’ottenimento di riconoscimento, in particolare dei propri bisogni interni. L’analista non è infatti tenuto, né gli sarebbe per altro possibile, a dispensare amore primario, quanto a permettere una situazione caratterizzata da tempo e spazio protetti da interferenze esterne, dove riconoscere il proprio difetto fondamentale e sperimentare nuove modalità di rapporto con gli oggetti. Il dissidio fra S. Ferenczi e S. Freud ha tuttavia costituito un trauma profondo e il ruolo di alleato terapeutico della regressione pare essere divenuto, negli anni successivi, un argomento tabù per gli analisti appartenenti al nucleo “classico”: essi si sono spesso limitati a stigmatizzarne gli aspetti minacciosi, considerandola effetto di una tecnica scorretta o sintomo con prognosi infausta. Fra le poche eccezioni vi sono le ricerche sulla creatività artistica di E. Kris, che distingue fra una regressione che travolge l’Io ed una al servizio dell’Io in grado di controllare e regolare alcuni processi primari (Kris E., 1935; trad. it., 1967). Vediamo come temi riguardanti l’oscillazione in stadi di sviluppo precedenti diventa un ambito di interesse sempre crescente. La possibilità di prevedere l’andamento delle dinamiche psichiche grazie a studi che esaminano questi aspetti permettono di fare delle ipotesi sullo sviluppo di uno stato morboso.
Reversibilità e Progressione psichica nella clinica psicoanalitica e i contributi di W. Bion e della M. Klein
In ambito clinico poter ragionare in termini di cura significa avere una visone previsionale sulla situazione sintomatologica e formulare delle prospettive circa i possibili progressi. In questa ottica il clinico necessita, da una parte di una base teorica solida per fare delle ipotesi e da un’altra, di una buona capacità relazionale per entrare nel gioco transferale e resistenziale del paziente. In questo senso il concetto di “reversibilità affettiva” è uno dei temi centrali affrontati dalla psicologa Carla Gallo Barbisio. L’autrice affronta questo tema nel testo” Soggetti, Lavoro, Professioni” mettendo in evidenza che le qualità empatiche del terapeuta promuovono un alternarsi di stati riguardanti le dinamiche di transfert. In particolare afferma che la “reversibilità affettiva” è un aspetto fondamentale affinché si attui un lavoro terapeutico. Definisce tale qualità come:
“ la modulata capacità di porsi nel passato, e non solo nel proprio ma in quello altrui, con una precisione e proprietà di sentimenti inimmaginabile se non nell’essersi posto fuori di sé, nell’altro appunto, con un’identificazione totale e assoluta senza peraltro perdersi grazie alla presenza di un’agile forma di reversibilità dei processi di pensiero che permette un immediato ritorno alla propria dimensione per il recupero e la trasformazione dell’esperienza in qualcosa di nuovo.” (Gallo Barbisio C., 1991, p.224). L’autrice esamina anche le dinamiche regressive che avvengono negli artisti. Questi infatti mostrano, spesso, un’abilità straordinaria nel pescare da stati regressivi il materiale che poi sarà oggetto delle loro opere. La Barbisio riprende i concetti della Klein di posizione schizo-paranoide e depressiva e afferma che l’artista e il terapeuta attuano entrambi un movimento di oscillazioni tra queste due posizioni. Tenteremo ora di accostare il concetto di reversibilità, inteso nel senso di capacità di immedesimarsi e di tornare indietro, alla clinica psicoanalitica. Per raggiungere il nostro scopo faremo riferimento al pensiero di W. R. Bion, più specificatamente al concetto di oscillazione tra posizione Schizo-paranoide ( SP) verso quella Depressiva (D) e viceversa. Questi termini (PS e D) sono stati introdotti per la prima volta da Melanie Klein in “Note su alcuni meccanismi schizoidi” (1946). M. Klein ritiene che, nell’adulto, la posizione Schizo-paranoide sia sempre patologica, mentre la posizione Depressiva sia la meta da raggiungere per un sano sviluppo mentale. Il bambino, una volta passato da PS a D, non ricadrà mai in PS, salvo in presenza di un funzionamento mentale patologico. In questo senso la posizione Depressiva per l’autrice è irreversibile, una volta raggiunta non si torna indietro a quella precedente (Schizo-paranoide). Bion invece introduce un elemento di novità al concetto kleiniano; egli ritiene infatti che, una volta raggiunta la posizione Depressiva, non si rimanga tutta la vita nella sicurezza delle certezze acquisite. Anzi, per un continuo sviluppo della mente, è necessario, a volte, ritornare in uno stato analogo alla posizione Schizo-paranoide (riferendosi all’analista Bion parla di “pazienza”), e dunque affrontare il cambiamento catastrofico, nell’attesa che una nuova congiunzione costante prenda forma nella mente, e che, sia così possibile, raggiungere una nuova posizione Depressiva; organizzata sulla base di una congiunzione costante ed intorno ad un fatto scelto (Bion), destinata a destrutturarsi nuovamente.
Il movimento non è più lineare in cui dalla posizione Schizo-paranoide si giunge a quella Depressiva secondo la visione della Klein. Ma Bion pone una meno rassicurante oscillazione dalla posizione Schizo-paranoide alla posizione Depressiva, in cui è sempre insito il ritorno alla destrutturazione.
Il concetto di oscillazione tra queste due posizioni in senso retrogrado che progressivo assume in Bion il valore di una funzione fisiologica della mente, che contribuisce alla scoperta di significati e, in definitiva, alla capacità di pensare, per cui la condizione d’attesa che si suole indicare come “pazienza” dell’analista di fronte alla mancanza di significato delle produzioni del paziente, viene indicata da Bion come una capacità di “tollerare” uno stato mentale collegato agli stati Schizo-paranoici per la frammentazione degli elementi che non consente il significato. La scoperta e la formulazione del significato – quando l’analista trasmette l’interpretazione – vengono invece collegate ad una sensazione di certezza e di sollievo e quindi alla posizione Depressiva, però nell’accezione riflessiva di riconoscere un certo dato della realtà ed accettarla. (Viola M., 1997 – 1998, p. 43). In questo senso Bion sostiene che così l’analista non si ancora alla sicurezza ed alla chiarezza della posizione Depressiva, ma sosta nello stato Schizo-paranoico insieme al paziente, sopportando, grazie alla sua capacità di attesa, il caos e l’assenza di significato che questa comporta, alla ricerca di pensieri imprevedibili. L’analista in questa situazione cerca di essere all’unisono con il paziente secondo una modalità gruppale di due menti (id., p. 24). In questo modello il paziente non ha il ruolo passivo di “paziente” nel senso medico del termine, ma egli è veramente il miglior aiutante dell’analista, in quanto, in alcuni casi, è proprio lui che osserva e comunica che tipo di relazione si è instaurata tra i due. Bion, per la cura degli psicotici centra il suo lavoro soprattutto nel ricercare il significato delle relazioni tra la mente dell’analista e quella dell’analizzando, utilizzando le frange di psicosi presenti nell’analista, che la Klein aveva individuato come residui della condizione infantile. Operazione questa pericolosa e sgradevole, che porta a confrontarsi con i disturbi del pensiero (id., p. 26). Nell’analisi, quindi, l’analista è costretto a confrontarsi con la parte psicotica della propria mente, utilizzandola anche per essere all’unisono con il paziente, vibrare con esso attraverso, anche i processi dell’identificazione proiettiva. Secondo Bion l’analista deve calarsi nel funzionamento mentale dello psicotico, sostare in questa posizione pazientemente, esercitando la propria capacità negativa, senza lanciarsi in una ricerca frettolosa di significati, nell’attesa che un nuovo significato appaia. In questa condizione egli può cercare di “agganciare” il paziente, al fine di portarlo indietro con sè ad un funzionamento mentale più evoluto. È facilmente comprensibile, dunque, come il terapeuta deve avere la capacità di sopportare il confronto con la propria parte psicotica e la turbolenza emotiva che questa porta con s, ma deve anche avere la capacità, da tale posizione, di ritornare ad un funzionamento mentale più evoluto. Pertanto secondo il pensiero di Bion l’analista deve sostare solo momentaneamente nel nucleo di pensiero Schizo-paranoico del suo paziente, per poi ritornare in una nuova posizione di stampo depressivo dove è possibile l’accesso a nuovi significati. In questo senso possiamo avvicinare il concetto di reversibilità alla clinica psicoanalitica. Come nella reversibilità, l’analista deve sapersi immergere nel funzionamento mentale del paziente, deve funzionare come lui, per poi riemergere, ritornare indietro, ad un funzionamento più evoluto portandosi con se il suo paziente. Claudio Neri scrive: “Piuttosto mi comporto come un subacqueo che si immerge nello Stato gruppale nascente e poi riemerge dalla profondità. Riemergendo, doso il fiato, non trascuro le soste per la decompressione, anzi le prolungo perché aspetto che i compagni di immersione meno esperti mi seguano verso la superficie” (Neri C., 1997, p. 49). Sostituendo a “Stato gruppale nascente” la condizione Schizo-paranoide, è chiaro come quanto riportato si possa applicare perfettamente ai concetti fin qui esposti.
Bibliografia
- Balint M., Balint E. Barbisio Gallo Carla (1991) Soggetti, lavoro, professioni a cura di Gian Piero Bollati Boringhieri. Torino
- (1959 – 1968), La Regressione, Raffaello Cortina, Milano, 1983
- Bion W. R., Learning from Experience, William Heinemann –Books – Ldt., 1962 [trad. it., Apprendere dall’Esperienza, Armando, Roma, 1972]
- !, Attention and Interpretation. A scientific Approach to Insight in Psycho – Analysis and Groups, Tavistock Pubblications, London, 1970 [trad. it., Attenzione e Interpretazione, Armando, Roma, 1973]
- Laplanche, Pontalis, Enciclopedia della Psicoanalisi, Editore Laterza, Bari, 1968
- Galimberti U., Dizionario di psicologia, UTET, Torino, 1992
- Freud S., Studi sull’isteria (1895), in Opere di Sigmund Freud (O. S. F.), Boringhieri, Torino, I, 1967
- !, L’interpretazione dei sogni (1900), in O. S. F., Boringhieri, Torino, III, 1966
- !, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), in O. S. F., Boringhieri, Torino, IV, 1970
- !, Sulla Psicoanalisi. Cinque conferenze (1909), in O. S. F., Boringhieri, Torino, VI, 1974
- !, Per la storia del movimento psicoanalitico (1914), in O. S. F., Boringhieri, Torino, VII, 1975
- !, Ricordare, ripetere e rielaborare (1914), in O. S. F., Boringhieri, Torino, VII, 1975
- ! , Introduzione alla psicoanalisi (1915 – 1917), in O. S. F., Boringhieri, Torino, VIII, 1976
- !, Al di là del principio del piacere (1920), in O. S. F., Boringhieri, Torino, IX, 1977
- Freud A., Normality and pathology in childhood, International Universities Press, New York, 1965. [trad. it., Normalità e patologia nel bambino, Feltrinelli, Milano, 1969]
- !, The Role of Regression in Mental Development, in Solnit A. J., Provence, S. A. (a cura di), Modern Perspectives in Child Development, International Universities Press, New York, 1963 [trad. it., La funzione della regressione nello sviluppo psichico, Boringhieri, Torino, 1979: pp. 711-712]
- Mikkel Borch-Jacobsen, Ricordi di Anna O. La prima bugia della psicoanalisi, traduzione di Landolfi I., Garzanti Libri (collana Strade Blu), 1996, pp. 102 p..
- Kris E. (1935 – 1952), Ricerche Psicoanalitiche sull’Arte (1952), Einaudi, Torino, 1967
- Semi A. A., Dal colloquio alla teoria, Cortina, Milano, 1992.
- Lis A., Venuti P., De Zordo M. R., Il colloquio come strumento psicologico Ricerca, Diagnosi, Terapia, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1995.
- Neri C., Gruppo, Borla, Roma, 1997, 3ª ed.
- Trentini G., Manuale del colloquio e dell’intervista, UTET, Torino, 1995
- Viola M., Dispense del corso di Psicologia Clinica, Torino, a.a. 1997 – 1998).
[1] Ida Bauer (conosciuta con lo pseudonimo di Dora attribuitole da Sigmund Freud) (Vienna, 1º novembre 1882 – New York, 21 dicembre 1945) fu una paziente di cui Freud diagnosticò l’isteria. Il suo sintomo isterico più vistoso era l’afonia, o perdita della voce. La relazione che Freud pubblicò nel 1905, col titolo Bruchstücke einer Hysterie-Analyse (Frammento di analisi di un caso d’isteria), costituisce uno dei suoi casi clinici più celebri. Dora aveva diciotto anni quando iniziò la terapia psicoanalitica. Proveniva da una famiglia in condizioni materiali molto agiate; suo padre era un grosso industriale. A otto anni Dora aveva cominciato a soffrire di dispnea cronica, a dodici anni erano apparsi attacchi di tosse nervosa ed emicranie. Dai sedici anni l’emicrania era scomparsa ma i disturbi respiratori si erano aggravati, e si manifestavano in attacchi della durata di settimane o mesi durante i quali Dora era anche colpita da una completa afonia. Al momento d’iniziare l’analisi, il quadro clinico generale era caratterizzato da depressione, irritabilità e idee di suicidio.