La “Realtà psichica” e il rifugio nel mondo dell’immaginario: un caso clinco.
Realtà psichica o realtà autobiografica? Quale è la differenza? E quale delle due è quella che più influenza l’individuo?La psicologia si è interrogata molte volte sulla dimensione dell’immaginazione e di come la nostra fantasia partecipa al modo in cui ci rappresentiamo il mondo e gli altri. I tanti autori che hanno approfondito questo tema hanno messo in evidenza che la nostra mente fa da filtro a ciò che accade. Questo filtro è costruito nel tempo e rappresenta il ponte tra il mondo fuori e ciò che poi noi viviamo nel nostro intimo. Gli psicologi mettono in evidenza che i meccanismi di difesa si attivano quando ciò che arriva dal mondo esterno (o anche da una pulsione interna spontanea) non è tollerabile per un individuo. A quel punto è possibile che venga attuata una deformazione, o un qualsiasi atto ad opera di questi meccanismi per rendere “la pillola un po’ più dolce” se si vuole usare una metafora. Si può pensare a questo punto che questi sistemi di difesa possono attuare un grado sempre crescente di mascheramento della realtà sino a giungere ad un estremo, ossia, quello rappresentato dal delirio, che è un rifugio in una realtà altra (allucinata). Seguendo questo ragionamento, possiamo suddividere il mondo in cui viviamo, in tanti mondi, in base a qullo in cui siamo immersi durante la nostra quotidianità. Mondo concreto-reale, mondo immaginario, mondo simbolico, mondo preistorico, mondo inconscio, ecc… possono essere i vari mondi in cui sostiamo per un certo periodo di tempo mentre facciamo le nostre faccende quotidiane. Può succedere alle volte di rimanere intrappolati in uno di questi per dei tempi relativamente lunghi, è frequente, per esempio rimanere intrappolati nel mondo dell’ immaginario tutte quelle volte in cui poi capiamo di essere caduti in un’illusione. Nei termini colloquiali quando succede qualcosa di simile è possibile pensare di noi stessi di “esserci fatti un film”. In quel caso il mondo dell’immaginario ha preso per un certo tempo il sopravvento su quello reale, ma poi ci siamo ridestati. Nella clinica spesso si osservano pazienti che invece non escono mai dai loro “film immaginari” rimanendo aggrappati a certi modi di pensare, interpretare e dare senso a ciò che gli succede. In questo senso si può dire che vivono in un loro “mondo” e che questo luogo influenza tutto quello che fanno, questo immaginario è la base da cui poi traggono le loro decisioni. Freud all’epoca della sua scoperta dell’inconscio e dei fenomeni psichici incontrò questo tipo di persone e se ne stupì. In particolare nel testo “Introduzione alla Psicoanalisi (pag 171-172) Freud presentò alcune vicende emerse in analisi dei suoi pazienti. Ciò che lo sconcertò – tanto da mettere in discussione le sue tesi – fu constatare che alle volte le vicende raccontate dai pazienti non fossero realmente accadute. In un primo periodo della sua vita abbracciò la teoria traumatica, ossia che i sintomi fossero la conseguenza di un trauma realmente vissuto da un paziente nel passato e rimosso. Secondo Freud poi ad un certo punto della vita quell’esperienza traumatica poteva essere risvegliata a causa di certe vicissitudini producendo di “sintomi”. L’analisi di molti pazienti mise in crisi l’ipotesi traumatica della nevrosi e Freud dovette fare delle ipotesi alternative sull’origine dei problemi mentali. Cominciò a riflettere sulla possibilità di differenziare la realtà autobiografica dalla realtà psichica e a sostenere che la seconda fosse nettamente più determinante nell’individuo, infatti è così che si esprime nel testo “Introduzione alla psicoanalisi”. Va precisato che questo non fu diviso in capitoli ma in lezioni perché conteneva le lezioni che Freud conduceva all’università. Nelle pagine 171-172 Freud si rivolge agli auditori e spiega come è giunto a questa considerazione, di seguito inserirò le sue testuali parole per farci entrare un po’ nel clima dell’epoca.
Scrive Freud:
«Vi ho annunciato che abbiamo ancora qualcosa di nuovo da scoprire; si tratta, in realtà, di una cosa sorprendente e sconcertante. Mediante l’analisi, come sapete, a partire dai sintomi, veniamo a conoscere le esperienze infantili alle quali è fissata la libido e a partire dalle quali essi vengono costruiti. La cosa sorprendente consiste nel fatto che non sempre queste scene infantili sono vere. Anzi, non lo sono nella maggioranza dei casi, e in casi singoli si trovano in opposizione diretta alla verità storica.
Comprendete che questa scoperta, meglio di qualunque altra, è adatta a screditare o l’analisi, che ha portato a tale risultato, o gli ammalati, sulle cui dichiarazioni è fondata l’analisi, nonché la comprensione delle nevrosi nel suo insieme. In questo vi è inoltre qualcosa di enormemente sconcertante.
Se gli episodi infantili portati alla luce dall’analisi fossero sempre reali, avremmo la sensazione di muoverci su un terreno sicuro. Se fossero di regola falsati, se si rivelassero invenzioni, fantasie dell’ammalato, dovremmo abbandonare questo terreno malfermo e metterci in salvo altrove. Le cose, invece, non stanno né in un modo né nell’altro, bensì è dimostrabile che gli episodi infantili costruiti o ricordati nell’analisi alcune volte sono senza dubbio falsi, altre invece altrettanto sicuramente veri e, nella maggior parte dei casi, un misto di vero e di falso. I sintomi sono dunque, in un caso, la rappresentazione di episodi che hanno realmente avuto luogo e ai quali si può attribuire un influsso sulla fissazione della libido; in un altro, fantasie dell’ammalato, che naturalmente non sono per nulla adatte a svolgere un ruolo eziologico. In un tale contesto è arduo orientarsi. Un primo punto di riferimento può forse essere trovato in un’altra scoperta simile, e cioè che i singoli ricordi dell’infanzia, che gli uomini hanno in sé consciamente, da tempo immemorabile e prima di ogni analisi, possono ugualmente essere falsati o, quanto meno, possono mescolare ampiamente il vero con il falso. Raramente è difficile dimostrare la loro inesattezza; abbiamo così almeno l’assicurazione che non sia l’analisi ad essere responsabile di questa nostra inaspettata delusione, bensì in qualche modo gli ammalati. Il fatto che il malato si sia creato tali fantasie ha per la sua nevrosi un’importanza di poco inferiore che se egli avesse realmente vissuto ciò che esse contengono. Queste fantasie possiedono una realtà psichica in contrapposizione a quella materiale, e noi giungiamo a poco a poco a capire che nel mondo delle nevrosi la realtà psichica è quella determinante. Tra gli avvenimenti che ricorrono continuamente, e sembrano quasi immancabili nella storia giovanile dei nevrotici, alcuni sono di particolare importanza e pertanto anche degni — ritengo — di esser posti in maggior rilievo rispetto ad altri. Quali esempi emblematici di questa specie vi enumererò: l’osservazione del rapporto sessuale tra i genitori, la seduzione d parte di una persona adulta e la minaccia di castrazione. Sarebbe un grave errore supporre che a essi non vada mai attribuita una realtà materiale; al contrario, questa è spesso dimostrabile senz’ombra di dubbio indagando presso congiunti più anziani. Così, ad esempio, non è affatto raro che al bambino che prende il vizio di giocare con il suo membro e non sa ancora che tale occupazione va tenuta nascosta venga minacciato, dai genitori o da chi ha cura di lui, che gli si taglierà il membro o la mano che ha commesso il peccato. Interrogati, i genitori confessano spesso di aver creduto di agire, con tale intimidazione, in modo opportuno. Particolare interesse ha la fantasia della seduzione, perché fin troppo spesso non è una fantasia, ma un ricordo reale. Fortunatamente però essa non è reale così spesso come i risultati dell’analisi sembravano provare all’inizio. La seduzione ad opera di bambini più grandi o coetanei è comunque più frequente di quella da parte di adulti, e se, nel caso di ragazze che riferiscono un fatto simile nella storia della loro infanzia, il padre compare abbastanza spesso come seduttore, non ci può essere alcun dubbio né sulla natura fantastica di questa accusa né sul motivo che ha spinto a farla. Di solito, quando non vi è stata alcuna seduzione, il bambino copre con la fantasia di seduzione il periodo autoerotico della sua attività sessuale. Egli si risparmia la vergogna che gli procura la masturbazione, fantasticando retrospettivamente un oggetto desiderato in quell’epoca lontanissima. Non crediate, del resto, che l’abuso del bambino ad opera dei parenti prossimi di sesso maschile appartenga interamente al regno della fantasia. La maggior parte degli analisti ha trattato casi in cui tali rapporti erano reali e potevano essere accertati in modo indiscutibile; ma è pur vero che anche allora essi appartenevano ad anni successivi dell’infanzia ed erano stati trasferiti in un periodo precedente. Se fanno parte della realtà, tanto meglio; se la realtà non li ha forniti, allora vengono elaborati in base ad accenni e completati con la fantasia. Il risultato è identico e fino ad oggi non siamo riusciti a dimostrare una diversità di conseguenza a seconda che la parte maggiore in questi avvenimenti infantili spetti alla fantasia oppure alla realtà. C’è qui, semplicemente, un altro dei tanto spesso menzionati rapporti di complementarietà; il più strano, in vero, tra tutti quelli di cui siamo venuti a conoscenza. Da dove provengono il bisogno di queste fantasie e il materiale per esse? Sul fatto che provengano da fonti pulsionali non possono certo esservi dubbi, ma è opportuno spiegare perché vengano create ogni volta le medesime fantasie con lo stesso contenuto. Ho qui pronta una risposta che so già vi apparirà azzardata. Reputo che queste fantasie primarie [Urphantasienj — così vorrei chiamarle, e di certo insieme ad alcune altre — siano un patrimonio filogenetico. In esse l’individuo, scavalcando la propria esperienza, attinge all’esperienza della preistoria, là dove la propria storia è troppo rudimentale. Mi sembra del tutto plausibile che tutto quanto oggi ci viene raccontato nell’analisi come fantasia — la seduzione di bambini, l’accendersi dell’eccitamento sessuale osservando i rapporti tra i genitori, la minaccia di castrazione (o, piuttosto, la castrazione stessa) — sia stato una volta realtà nei primordi della famiglia umana, e che il bambino fantasticando, abbia semplicemente colmato le lacune della verità individuale con la verità preistorica. Ci è venuto ripetutamente il sospetto che la psicologia delle nevrosi ci abbia conservato, più di tutte le altre fonti, antiche testimonianze dell’evoluzione umana.”
Bisogna fare una puntualizzazione Freud parla spesso di nevrosi, ma in quel periodo storico i pazienti erano divisi tra quelli che avevano un certo contatto con la realtà, ossia i nevrotici, e quelli invece come gli schizofrenici che deliravano per cui non era possibile trovare un contatto comunicativo. Per questi ultimi non era possibile praticare la psicoanalisi. I primi venivano tutti considerati nevrotici, anche se adesso molti apparterrebbero alla categoria dei disturbi di personalità, mentre ai secondi invece si attribuiva l’appellativo di “dementia precox” per indicare il deterioramento delle capacità intellettive, comunicative, relazionali ecc.. Per cui Freud quando parlava di nevrosi si riferiva a quei disturbi in cui era mantenuto un certo aggancio con la realtà, ma non si trattava di una nevrosi come si intende oggi la diagnosi. Questi pazienti per le loro capacità mentali potevano esplorare i loro sogni, il loro passato, e ragionare di questi aspetti con Freud. Da questa esplorazione nacque la constatazione che la “realtà interna” cioè quella che Freud chiama “realtà psichica” fosse quella determinate per i pazienti. Secondo Freud inoltre questa “realtà psichica” era la conseguenza di un immaginario che alle volte poteva appartenere alla persona (in base alle sue esperienze), ma altre volte delle fantasie potevano invece essere il frutto di un immaginario appartenente ai primordi della civiltà umana. Queste ultime vennero da lui, appunto chiamate fantasie primarie, (oggi vengono più comunemente chiamati “fantasmi originari”) e rappresenterebbero delle immagini mentali che sintetizzano delle condizioni psichiche relazionali evolutive. In particolare segnalano delle possibili modalità in cui l’io si può relazionare con l’altro (quello che Freud chiama l’oggetto). Per cui la fantasie di seduzione, la scena primaria e il fantasma di castrazione sarebbero delle metafore psichiche simboleggianti degli stati interni, allo stesso modo in cui i sogni rappresentano sotto forma di immagini i contenuti inconsci che vuole esprimere. Freud volle sottolineare a proposito di queste immagini interne, come alle volte, erano loro le vere protagoniste della vita dei suoi pazienti e come i sintomi, spesso, ne erano la diretta conseguenza. Per esempio la fantasia di castrazione, ossia la paura di essere punito circa la messa in opera dei propri desideri o dei propri bisogno, poteva bloccare completamente un individuo e inibirlo su ogni iniziativa. Infatti l’autore sosteneva che questa situazione interna spesso portava la persona a fare tutto ciò che era concesso dal contesto sociale sacrificando una parte dei suoi bisogni e desideri più intimi. Questo sacrificio secondo Freud se troppo oneroso per la persona, sarebbe stato all’origine della nevrosi sintomatica. Vediamo come secondo Freud, al di sotto di una sintomatologia ci sarebbero delle fantasie e delle rappresentazioni spesso inconscie. A questo punto compito dell’analisi sarebbe quello di intercettare i contenuti che portano e se possibile elaborarli con il terapeuta.
Vignetta clinica Marco
In sede di una supervisione un giovane psicologo chiede consiglio su un caso che vede da solo due colloqui perché teme di sbagliare, e dunque vuole consiglio.
Il giovane terapeuta racconta che un ragazzo di 27 anni gli chiede una consultazione a causa di un problema lavorativo. Il paziente gli racconta che avendo frequentato l’accademia dell’arte con successo aveva lavorato con profitto per diversi anni in una galleria d’arte. Le sue mansioni riguardavano varie attività e contemplavano anche la produzione di opere di grafica pubblicitaria per promuovere la galleria. La condizione psichica di Marco era in equilibrio sino a quando lavorava in quel luogo, purtroppo ad un certo punto a causa di problemi economici la gallerie dovette chiudere. A quel punto il paziente rimase senza lavoro; di seguito per un anno aveva cercato un impiego nello stesso settore senza successo. Approfondendo la sua vita e le vicende passate Marco raccontó al terapeuta che la proprietaria della galleria gli aveva prospettato la possibilità di mettere le sue opere d’arte nella sua galleria e lui aveva pensato che questo posto lo avrebbe avviato a una carriera di artista. Per questa ragione era rimasto per diversi anni a lavorare in quell’ambiente, non avrebbe mai immaginato che tutti questi progetti sarebbe sfumati. Dopo i primi due colloqui con Marco il giovane terapeuta, riconobbe di aver riscontrato diverse incoerenze. Al supervisore mise in evidenza le stranezza a proposito del fatto di fare domande di lavoro per poi non presentarsi.
Facendo, inoltre, un passo indietro Marco arriva in consultazione affermando che viene perché ha un problema lavorativo che non riesce a risolvere, ma nell’analisi della situazione il terapeuta è confrontata con il fatto che in realtà lui non trova lavoro perché non si presenta ai colloqui. Ci sono tante contraddizioni da affrontare da parte della terapeutacon questo paziente. Perché non si presenta ai colloqui? Il paziente collega il fatto che se non fa dei colloqui lavorativi difficilmente troverà lavoro? Che idea si è fatto circa l’esperienza lavorativa precedente?
Il professore che lo supervisiona mette in evidenza che ci vorrà tempo, perché Marco ha molte cose da elaborare. Per prima cosa però fa un’analisi circa il fattore di crisi, perché questo è in stretta relazione con il progetto terapeutico.
Infatti mette in evidenza che considerando il motivo che lo ha portato alla crisi una questione tra le altre più importante da comprendere e capire perché il paziente funziona così.
Marco si era convinto che la galleria avrebbe assicurato il suo successo perciò, dunque si era illuso che questa situazione lo avrebbe reso famoso.
Dunque nel suo immaginario si era cullato in una fantasia di successo senza curarsi di null’altro. Ad un certo punto si era scontrato con la realtà, la cosa strana era che lui non si era mai confrontato con la possibilità che le promesse della direttrice della galleria potessero sfumare e nemmeno aveva riflettuto con le vere difficoltà a diventare un artista affermato. A quanto pare Marco si era cullato nella convinzione che lui ad un certo punto sarebbe diventato famoso e avrebbe guadagnato grazie alle sue capacità grafiche. In certo sento si era confinato in una fantasia di successo, in questo modo aveva allontanato tutti i suoi dubbi eliminando tutte quelle normali analisi circa le difficoltà per raggiungere queste mete.
Il supervisore mise in evidenza come di solito questo modo di pensare è tipico dei bambini che sognano di diventare principi, re, astronauta, campioni di sport, ecc.. Un tipo di pensiero infantile che di solito si osserva quando i bambini si rifugiano nella fantasia quando devono fuggire da un presente doloroso, un ambiente conflittuale o situazioni dolorose in famiglia ecc.. Nella clinica questa situazione si presenta quando i bambini sono costretti a rifugiarsi nella fantasia per fuggire dalla realtà. Guardando questa difesa il supervisore mette in evidenza che se questo paziente ha sviluppato un rifugio nel mondo dell’immaginario, e perché è dovuto scappare dalla realtà.
Il fatto di essere entrato in crisi sta nel fatto che questa difesa ha funzionato nell’infanzia ma nella vita adulta non è servita a salvarlo. Immaginare di diventare famoso e di guadagnare non ha creato uno stipendio grazie al quale andare avanti. Il paziente si rende conto della realtà ma si è difeso per luogo tempo da essa grazie alla sostituzione di essa con il suo mondo immaginario. Ad un certo punto si è scontrato con la mancanza di uno stipendio e questo lo ha reso consapevole circa le sue difficoltà ad essere autonomo (anche economicamente), questo dato non poteva non confrontarlo con le sue tante contraddizioni.
Questa situazione clinica mette in evidenza come un paziente può entrare in crisi quando le difese non lo mettono a salvo da situazioni impreviste. Se la gallerie avesse avuto i soldi per rimanersi aperta, Marco non sarebbe entrato in crisi. Sarebbe sempre stato legato a questa sua immaginazione di successo pensando che era una cosa di tempo. Il fatto di essere stato confrontato con la rottura di un sogno, lo ha messo in condizione di fare in conti con la realtà, cosa che non era abituato a fare, il suo crollo è stata la conseguenza della sua disillusioni. Una realtà con cui non era pronto a confrontarsi. Considerando che si trattava di soli due incontri il supervisore ha consigliato di approfondire la questione del passato. Perché il paziente ha sviluppato un rifugio nell’immaginario quando era piccolo? Quale è stato il suo passato? Cosa succedeva in famiglia quando era piccolo da averlo indotto a trovare un rifugio nella fantasia. Questo paziente è il classico esempio di personalità che si è rifugiata nel mondo della fantasia, nel mondo dell’immaginario per difendersi da una realtà difficile. Diversi autori definisco questi pazienti personalità infantili proprio perché rimangono intrappolati nel modo delle fantasie infantili, nelle illusioni, nelle fantasticare ad occhi aperti senza tener conto della realtà. Questa condizione può funzionare se ha un certo punto la fantasia si concretizza, un po’ come quando il bambino piange se ha fame e la madre arriva. In quello stato è come se il bambino si raffigura l’arrivo della madre che lo nutre e lo accudisce e basta la sola immaginazione per far succedere le cose. In quella condizione precoce il bambino non pensa che l’arrivo della made non dipende dalla sua immaginazione. Con la maturazione psichica lui si renderà conto che non basta pensare la madre per farla comparire, lei ha una esistenza a parte. Questa consapevolezza lo avvierà a vivere l’angoscia di abbandono uscendo da una condizione di confusione tra realtà e fantasia. Siamo intorno a un anno e mezzo o due in poi. Marco a causa di qualche situazione ha dovuto utilizzare una difesa primitiva risalente a questo periodo dell’infanzia. Vista la situazione il supervisore consiglia di indagare cosa è successo nel passato per aiutare il paziente ad analizzare il presente nelle tante sfumature e difficoltà. L’obbiettivo è quello di renderlo più capace nelle sue capacità previsionali. Detta così può sembrare facile in realtà è un lavoro luogo e paziente.