Jung descrisse l’alchimia come una metafora della realizzazione del Sé e dell’esplorazione dei meandri dell’inconscio. La trasmutazione stessa del piombo in oro ricordava il principio di individuazione junghiano: il piombo è l’Io che deve raggiungere un nuovo stato di trasmutazione, e l’oro è una metafora del Sé.
Inoltre, la scienza alchemica ha molti punti di contatto con gli studi gnostici, che ebbero sempre un certo peso nella riflessione junghiana, ma che egli lasciò poi da parte perché troppo distanti dalla mentalità a lui contemporanea.
Nel testo “Psicologia e Alchimia” Luigi Aurigemma, filosofo e psicoterapeuta junghiano, nell’introduzione al testo spiega che Jung individuò nelle pratiche alchemiche una modalità di trasformazione dell’interiorità, una pratica che permetteva un’evoluzione interiore e che poi introdusse nella psicoterapia che utilizzava con i pazienti. Chiamò questa tecnica “immaginativa” questo perché utilizzava dei simboli o degli archetipi come strumento per la comprensione di se stessi. La sua modalità di cura era orientata a esplorare una forma di esperienza che coinvolgeva tutti indistintamente rappresentata spesso attrverso i sogni e le fantasie a occhi aperti. Jung mise in evidenza come oltre il linguaggio parlato gli essere umani utilizzarono, in tutte le epoche, un linguaggio analogico (cioè organizzato per analogie) fatto di simboli. La dimostrazione di quanto questo linguaggio sia universale lo osserviamo nei dispositivi elettronici computer o telefonini che utilizzano delle icone (simboli) o degli emoticon per definire qualcosa invece della parola. Dunque questi dispositivi sfruttano un linguaggio più immediato, visivo, esistente da sempre. Ma Aurigemma che Jung, a loro tempo, sottolineavano una fondamentale differenza tra i simboli e gli archetipi.
Simboli o archetipi… qual è la differenza?
Secondo gli autori vi è una sostanziale differenza perché, più che i simboli erano gli archetipi quegli elementi capaci di trasformare l’interiorità degli individui. Per esempio il Cristo per Jung (oltre a essere un emblema importante per la cristianità) è un archetipo e spesso nelle raffigurazioni iconografiche viene associato alla colomba, alla croce, al calice, al pane, al ramo dell’ulivo ecc. tutti simboli che richiamano qualche aspetto della sua vita. Vediamo come in questa impostazione il Cristo è un archetipo, mentre tutti gli altri sono simboli pieni di significato che richiamano storie, producono emozioni, attivano giudizi e spingono in modo spontaneo al pensiero. Questo fenomeno spontaneo di creare una serie di pensieri associati a un’immagine archetipica era quella risorsa che Jung pensò di poter utilizzare per portare i suoi pazienti verso l’interiorità e dunque a riflettere su se stessi per risolvere conflitti, comprendere delle situazioni, affrontare paure e agevolarli nel loro processo di cura. A questo punto è doveroso sentire cosa Aurigemma junghiano scrive per definire cosa è il simbolo e cosa è l’archetipo.
L’autore nell’introduzione al testo di Jung “Psicologia e Alchimia” afferma:
“Del modo di intendere gli archetipi e i simboli è importante fare una distinzione tra questi due concetti per evitare di cadere nell’errore più frequente e più banale che sì riscontra tra i critici e gli interpreti del pensiero junghiano. I simboli non sono gli archetipi, e gli archetipi non sono dei contenuti innati nella psiche individuale, ma delle predisposizioni ad agire certi particolari atteggiamenti e comportamenti, in risposta a determinati stimoli-segnale. Tutta la moderna etologia biologica si trova, d’altra parte, su questa linea ed è riuscita a dimostrare anche nei mammiferi delle coordinazioni ereditarie. Dice per esempio, I. Eibl-Eibesfeldt: «A rigore, non viene ereditato il modulo motorio vero e proprio, ma solo la « ricetta » in base alla quale si sviluppano quelle strutture e connessioni nervose che stanno a fondamento di quel comportamento ». « Non è detto che la coordinazione ereditaria sia sempre pronta all’istante della nascita o della schiusa dell’uovo: alcuni moduli comportamentali maturano solo a poco a poco, come si è dimostrato sperimentalmente ». Lo stesso discorso vale per i simboli junghiani, i quali non sono delle emergenze pure di contenuti già costituiti all’interno della psiche, ma interazioni dinamiche tra determinate predisposizioni psichiche e determinate esperienze. Nulla è quindi immutabile o prefissato, ma tutto può accadere. Se la vita psichica, come ci dice Jung, è il prodotto di una trasformazione di energia, i simboli sono le unità funzionali che permettono tale trasformazione e quindi rappresentano dei fenomeni psichici di vitale importanza.”
Nella presentazione al testo “Psicologia e Alchimia” Aurigemma spiega perché Jung si è avvicinato all’alchimia sia orientale che occidentale. In queste pratiche Jung individuò delle tradizioni che utilizzavano i simboli come fonte di ispirazione per attivare delle energie psichiche interne. Queste energie poi in un percorso di crescita e maturazione interiore potevano essere sfruttate per rindirizzare l’individuo verso un lavoro introspettivo. Il terapeuta nei confronti del paziente doveva accompagnarlo in questo processo sostenendolo nei momenti di stallo e di difficoltà emotiva.
Bibliografia
Eibesfeldt I. E., (1971) Amore e Odio. Adelphi, Milano , pag. 25.
Jung C. G. (1921) Tipi psicologici, Boringhieri, pag. 489.
Jung C. G. (1944) Psicologia e Alchimia. Boringhieri
Jung C. G.(1956) Mysterium coniunctionis.
Jung C. G.(1961) Ricordi, sogni e riflessioni.
Grazie dell’attenzione
Dott.sa Giulia Iolanda De Carlo
Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalitico
Corso Gramsci,133, Palagianello (Ta)
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