Sono moltissimi gli autori che hanno approfondito lo studio dello sviluppo psichico dei bambini. Ma bisogna riconoscere che questa branca della psicologia, che oggi vede una schiera di studiosi estremamente numerosa è relativamente recente. L’impennata dell’interesse verso questo periodo della vita dell’individuo nasce, anche, grazie ai contributi di Freud e ai suoi scritti circa le fasi dello sviluppo psicosessuale. Lui asseriva che la vita psichica andava di pari passo allo sviluppo fisico e a quelle parti del corpo fondamentali per giungere alla vita adulta. Di conseguenza divise lo sviluppo infantile in diverse fasi, la fase orale , la fase anale, la fase fallica, la fase di latenza e quella genitale. La sua tesi era che gli aspetti di maturazione psichica fossero legati in un primo periodo all’oralità, per poi passare agli organi per il controllo sfinterico e in fine agli organi genitali. Questi periodi oltre a comportare delle abilità e autonomia dal punto di vista fisico secondo Freud avviavano un processo di prima sperimentazione in relazione al piacere. Questo piacere percepito in un primo momento in relazione al proprio corpo (infatti Freud definisce questo periodo autoerotico nel bambino), successivamente si rivolgerebbe nei confronti dell’ altro, ossia dell’oggetto investendolo energeticamente. Pertanto l’evoluzione della vita sessuale umana attraverserebbe diversi periodi di maturazione fisica in cui ci sarebbe un primo investimento libidico rivolto verso il proprio corpo per cui l’altro ( il car-given) rappresenterebbe un mezzo nelle prime esperienze precoci, per esempio nella fase orale. Successivamente grazie alle sempre maggiori abilità del bambino di differenziarsi comincerà a riconoscersi separato dall’oggetto promuovendo modalità di coinvolgimento relazionali sempre più complesse.
Ritornando alle varie fasi dello sviluppo psicosessuale dice Freud durante l’oralità il bambino sperimenta il piacere della sazietà e nello stesso tempo le sue capacità percettive gli permetteranno, piano piano, di riconoscere nella madre la fonte da cui proviene il nutrimento, la protezione e il senso di serenità. Se tutto va bene si stabilisce un attaccamento tra i due di natura simbiotica. In questa prima fase è l’ambiente che circonda il bambino a predisporsi all’accoglimento dei bisogni dell’infante, con il passare dei mesi dopo la nascita si stabiliranno delle routine nella nutrizione, nel ciclo del sonno e della pulizia. La fase successiva riguarda il controllo sfinterico, questo è il momento in cui un bambino può sviluppare una prima autonomia. In questa fase l’attenzione è rivolta alle zone del corpo che permettono di trattenere ed espellere i prodotti del corpo da evacuare. Anche questa fase è importante a livello psicologico perché segna nell’identità del bambino il primo momento in cui può sentirsi padrone della situazione. Non è più il mondo esterno e il suo corpo che decidono per lui, e possono fare per lui, in questo momento è lui che può fare le cose per se stesso. Questa fase se in un primo momento è vissuta con angoscia e ansia successivamente lascia il posto a un senso di orgoglio. Soprattutto quando il bambino conoscendo altri bambini comincia a notare che ci sono quelli che ancora sono legati al pannolino e altri, più grandi, che non ne hanno più bisogno. La fase che perviene al controllo sfinterico può cominciare da un età che va più o meno da due anni in poi. La fase fallica è quella legata al fatto che il bambino si è accorto che a livello fisico la madre è diversa dal padre. E la maggiore diversità fisica risiede negli organi genitali, questo periodo apre tutta una serie di eventi emotivi per lo sviluppo dell’identità di genere. Il bambino che ha appreso se è un maschietto o una femminuccia a livello fisico adesso si confronta con i ruoli che queste due tipologie di esseri umani assolvono. Attribuisce delle caratteristiche a ciascun ruolo in funzione del comportamento che osserva e inizia ad identificarsi con entrambi i genitori in relazione all’identità di genere. Questo e il periodo degli sconvolgimenti edipici. Siamo intorno ai 4 o 5 anni. La fase di latenza è un momento invece in cui si placano le dinamiche legate all’edipo; il bambino e la bambina a questo punto rivolgono il loro interesse ai gruppo dei pari, si formano i gruppetti di maschietti e femminucce dove si possono sentire uniti da gli stessi interessi e dagli stessi cambiamenti. L’ ultima fase è la fase genitale in cui la maturazione fisica e la possibilità di procreare apre l’esigenza di sviluppare una maturità relativa alle scelte della vita adulta. Tutti questi periodi della vita del bambino possono essere ostacolati da problematiche di diverso tipo e lasciare dei segni che se non affrontati adeguatamente nella vita adulta possono trasformarsi in sintomi. Lo studio della psiche nell’infanzia è iniziato proprio in questo modo. Infatti Freud nel momento in cui si interessò allo studio della cura dei suoi pazienti con problematiche psichiche cominciò a rivolgere lo sguardo all’epoca delle prime relazioni parentali. C’è bisogno di mettere in evidenza che Freud ebbe tra i suoi pazienti molti individui che presentavano disturbi, problematiche o perversioni di natura sessuale. L’osservazione delle derive sintomatologiche portarono Freud a fare delle ipotesi sullo sviluppo psichico della mente nell’infanzia in relazioni alle varie parti del corpo legate al piacere. L’osservazione dei suoi pazienti lo convinsero che le ragioni di una tipologia di sessualità normale o patologica da adulti fosse l’esito di uno sviluppo anomalo in una fase o in un’altra in cui la libido era rimasta fissata ad una fase totalmente o solo parzialmente. Vediamo come per Freud le parti del corpo che producono piacere rappresentano dei centri energetici che orientano la libido scandendo anche una certa temporalità. Gli esiti dei suoi studi furono pubblicati in diversi testi ricordiamo per esempio “Tre saggi sulla teoria sessuale” , fu edito originariamente nel 1905, che consiste in tre differenti volumi in cui l’autore descrive la sua teoria della sessualità a partire dagli sviluppi della prima infanzia. Successivamente produsse altri iscritti. Nel testo di “Introduzione alla psicoanalisi” diede una sistematizzazione alle sue teorie. Infatti l’importanza di questo testo sta nel fatto che venne scritto tra il 1916 e il 1918 prima di ritirarsi dall’insegnamento all’università. A causa dei suoi sempre maggiori problemi alla mandibola non gli era più possibile parlare con facilità e questo diventò problematico per la sua carriera universitaria. In seguito alle teorizzazioni di Freud, Erik Erikson si interessò allo sviluppo psichico e sociale del bambino e riprendendo le fasi ipotizzate di Freud mise in evidenza cosa comportano a livello sociale. In particolare mise in evidenza quali facoltà, abilità personali e relazionali si sviluppano in relazione alle varie fasce di età. Possiamo affermare che la differenza tra Freud e Erikson sta nel fatto che Freud rivolse lo sguardo all’interno della psiche dell’individuo, nel suo mondo interno e inconscio e di come questo si evolve. Erikson invece rivolse lo sguardo agli effetti esteriori nelle relazioni che questo mondo interno produce.
Di seguito inserirò degli estratti di Freud a proposito delle fasi dello sviluppo psicosessuale e degli estratti degli scritti di Erikson. Ricordiamo il lettore che sono degli studi agli albori dell’osservazione di questi fenomeni perciò il linguaggio, e i vari ragionamenti, seguono uno stile adatto per l’epoca, ma possono risultare antiquati al giorno d’oggi, perciò vanno contestualizzati. La loro importanza sta nell’aver apportato nello scenario internazionale dei temi che poi hanno visto l’emergere di studi sempre più approfonditi sul tema.
FREUD…LEZIONE 20. “La vita sessuale umana” tratto dal testo “introduzione alla Psicoanalisi”
“Introduzione alla psicoanalisi” è stato un testo scritto da Freud sotto forma di lezioni perché doveva sopperire alle difficoltà che lui aveva nel parlare a causa dei suoi sempre crescenti problemi alla mandibola. Inoltre rappresentava una traccia di lavoro scritto per chi avrebbe voluto continuare ad apprendere i concetti psicoanalitici dopo che Freud si dimise dall’insegnamento universitario, non a caso il testo non è diviso in capitoli ma in 35 lezioni. Perciò non bisogna stupirsi se lo stile di linguaggio dei capitolo è diretto come se un docente si trovasse davanti a degli studenti o colleghi proponendo dei ragionamenti. Va contestualizzato che Freud seguì molti pazienti con diversi disturbi della sfera sessuale e da quei pazienti adulti- dai loro racconti,-in relazione alle loro esperienze precoci estrasse delle teorizzazioni. Nacquero così alcune ipotesi sulla relazione che il bambino ha nei confronti del proprio corpo e della sua relazione con il piacere e le sensazioni che questo arreca. Bisogna avvisare il lettore che Freud usa spesso il termine “perversione” ma vanno fatte delle precisazioni nella modalità in cui lo interpreta. Infatti questo termine non va inteso come lo si considera nella cognizione attuale di “grave deviazione in senso patologico della vita sessuale” ma nella derivazione latina dove perverso viene scomposto in “per” e “ verso” per indicare dove l’energia sessuale viene rivolta e nel senso in cui lo definisce Freud verso propri parti corporee del bambino. E in questo senso che l’autore spiega la diversa importanza che le varie parti del corpo assumono per il bambino nelle varie fasce di età, ma Freud differenzia la sessualità adulta in cui gli organi sessuali sono definiti e pronti per la riproduzione da una sessualità infantile per cui il corpo produce delle sensazioni che via via il bambino esplora.
Ma sentiamo cosa dice Freud su questi fenomeni direttamente dalle sue parole:
“La ricerca psicoanalitica è stata costretta a occuparsi anche della vita sessuale del bambino, e ciò perché nell’analisi i ricordi e le associazioni riconducevano di regola ai primi anni dell’infanzia. Ciò che abbiamo desunto è stato quindi confermato punto per punto da osservazioni dirette sui bambini. È risultato cosi che tutte le inclinazioni alla perversione hanno radici nell’infanzia, che i bambini hanno tutte le predisposizioni ad essa, e le attuano in misura corrispondente alla loro immaturità; in breve, che la sessualità perversa non è altro che una sessualità infantile ingrandita e scomposta nei suoi singoli impulsi. Ora senza dubbio vedrete le perversioni sotto un’altra luce e non disco noscerete più il loro legame con la vita sessuale umana; ma a prezzo di quali sorprese e di quali penose incongruenze per la vostra sensibilità! Di certo, dapprima sarete indotti a contestare tutto, il fatto che i bambini abbiano qualcosa che può essere definito come vita sessuale, l’ esattezza delle nostre osservazioni e il diritto di trovare un’affinità nel comporta mento dei bambini con ciò che in seguito viene condannato come perversione. Permettete dunque che vi spieghi anzitutto i motivi della vostra opposizione e che vi presenti poi la somma delle nostre osservazioni. Il fatto che i bambini non abbiano alcuna vita sessuale- eccitamenti e bisogni sessuali e una specie di soddisfacimento – ma la acquisiscano improvvisamente tra i dodici e i quattordici anni sarebbe – a prescindere da tutte le osservazioni – biologicamente inverosimile, anzi sarebbe assurdo come ritenere che essi non nascano con i genitali, ma questi si for mino all’epoca della pubertà. In quell’epoca ciò che si risveglia è la funzione riproduttiva, la quale si serve per i suoi scopi di un materiale cor poreo e psichico già presente. Voi commettete l’errore di confondere tra loro sessualità e riproduzione, e in tal modo vi siete preclusi la via alla comprensione della sessualità delle perversioni e delle nevrosi. E pero un errore tendenzioso. Esso ha stranamente la sua origine nel fatto che voi stessi siete stati bambini e come tali soggetti all’influsso dell’educa zione. Infatti la società deve proporsi come uno dei suoi compiti educa tivi più importanti quello di domare e di limitare la pulsione sessuale quando essa prorompe come impulso riproduttivo, di sottometterla a una volontà individuale che è identica a ciò che la società impone. La società ha anche interesse a ritardare il pieno sviluppo della pulsione sessuale fino a quando il bambino abbia raggiunto un certo grado di ma turità intellettuale, infatti con il pieno prorompere della pulsione sessuale trova praticamente fine anche l’educabilità. La pulsione altrimenti romperebbe tutti gli argini, distruggendo l’opera faticosamente costruita della civiltà. Del resto, il compito di dominarla non è facile, si sbaglia ora in eccesso, ora in difetto. In fondo, ciò che anima la società umana è un fattore economico.[…] Di grande interesse teorico è anche il fatto che l’epoca della vita che contraddice nel modo più netto il pregiudizio di un’infanzia asessuata -l’età infantile fino ai cinque o sei anni –è nascosta per la maggior parte delle persone sotto il velo di un’amnesia che può venire squarciata solo da un’indagine analitica, ma che era penetra bile già in precedenza a singole formazioni oniriche. Ora vi esporrò ciò che si può comprendere più chiaramente della vita sessuale del bambino. Permettetemi di introdurre, per motivi di prati cità, il concetto di libido. In modo del tutto analogo alla fame, la libido indica la forza con la quale si manifesta la pulsione; in questo caso la pulsione sessuale, nel caso della fame quella di nutrirsi. Altri concetti, come eccitamento e soddisfacimento sessuale, non richiedono alcuna spiegazione. Voi stessi comprenderete facilmente il fatto – o probabilmente ne farete motivo di obiezione – che nello studio delle attività sessuali del lattante la parte più importante spetta all’interpretazione. Tali interpretazioni derivano dalle indagini analitiche mediante un cammino a ritroso a partire dal sintomo. I primi impulsi della sessualità si manifestano nel lattante appoggiandosi ad altre funzioni vitali. II suo interesse principale, come sapete, è rivolto all’assunzione del cibo; quando si ad dormenta dopo essersi saziato al seno, mostra l’espressione beata che si ripeterà in seguito dopo I’ esperienza dell’orgasmo sessuale. Ciò sarebbe troppo poco per fondare su ciò una conclusione. Ma osserviamo che il lattante vuole ripetere l’azione dell’assunzione di cibo, senza richiedere nuovo nutrimento; non è dunque spinto dalla fame in questo caso. Dicia mo che egli succhia o poppa, e il fatto che anche nel far questo si addormenti con espressione beata ci mostra che l’azione del ciucciare in sé e per sé gli abbia dato soddisfacimento. Com’è noto, prende presto l’abitudine di non addormentarsi se prima non ha succhiato.[…] Veniamo a sapere dunque che il lattante esegue azioni con l’unica intenzione di procurarsi piacere. Crediamo che egli provi questo piacere inizialmente nell’assunzione del cibo, ma che presto abbia imparato a separarlo da questa condizione. Possiamo riferire tale ottenimento del piacere solo all’eccitamento della zona della bocca e delle labbra, chiamiamo queste parti del corpo zone erogene e definiamo sessuale il piacere ottenuto dal ciucciare. Di certo dovremo ancora discutere sulla legittimità di tale definizione. Se il lattante potesse esprimersi, senz’altro riconoscerebbe l’atto del ciucciare al seno materno come quello di gran lunga più importante per la sua vita. Dal suo punto di vista non ha torto, perché soddisfa con questo atto due grandi bisogni vitali in una volta sola. Dalla psicoanalisi apprendiamo poi, non senza stupore, quanta parte dell’importanza psichica dell’atto rimanga conservata per tutta la vita. Il ciucciare il seno della madre diventa il punto di partenza dell’intera vita sessuale, il modello ir raggiungibile di ogni successivo soddisfacimento sessuale, al quale spesso la fantasia ritorna in momenti di bisogno. Ciò implica fare del se no materno il primo oggetto della pulsione sessuale. Non riesco a darvi un’idea di quanta sia importante questo primo oggetto per ogni successivo ritrovamento di oggetto, di quali effetti profondi produca nelle sue trasformazioni e sostituzioni fin nelle zone più remote della nostra vita psichica. Ma inizialmente, nell’attività del ciucciare, il lattante rinuncia a tale oggetto e lo sostituisce con una parte del proprio corpo. Il bambino si succhia il pollice, la sua stessa lingua. Nel procurarsi piacere in tal modo si rende indipendente dal consenso del mondo esterno, e inoltre per intensificarlo coinvolge l’eccitamento di una seconda zona del corpo. Le zone erogene non hanno tutte lo stesso valore; è perciò un’esperienza importante quando il bambino, come riferisce Lindner, nell’ esplorare il proprio corpo scopre i punti particolarmente eccitabili dei suoi genitali e trova cosi la strada che dal ciucciare porta all’onanismo. Nel considerare l’atto del ciucciare siamo già venuti a conoscenza di due caratteri decisivi della sessualità infantile. Essa compare appoggiandosi al soddisfacimento di grandi bisogni organici e si comporta autoeroticamente, cioè cercare trova i suoi oggetti sul proprio corpo. Ciò che si è mostrato nel modo più evidente nell’ assunzione del cibo si ripete in parte nelle escrezioni. Ne concludiamo che il lattante ha sensazioni di piacere nello svuotamento della vescica e del contenuto intestinale e che ben presto si sforza di regolare tali azioni in modo che gli possano arre care il maggior piacere possibile mediante corrispondenti eccitamenti delle zone erogene delle mucose. A questo punto, come ha spiegato con acume Lou Andreas-Salomé, il mondo esterno si presenta per la prima volta al bambino come potenza inibitrice, ostile alla sua tendenza al piacere, e gli fa presagire future lotte interne ed esterne. Il bambino deve eliminare i suoi escrementi non nel momento che preferisce, ma quando altre persone lo stabiliscono. Per portarlo a rinunciare a queste fonti di piacere, gli viene spiegato che tutto ciò che riguarda queste funzioni è sconveniente, destinato a essere tenuto segreto. È a questo punto che egli deve per la prima volta barattare il piacere con la dignità sociale. All’inizio il suo rapporto con gli escrementi è del tutto diverso. Egli non prova alcun ribrezzo davanti alle sue feci, le considera come una parte del suo corpo, da cui non si separa facilmente, e le usa come primo “regalo per premiare persone che stima particolarmente. Anche dopo che l’educa zione è riuscita nell’ intento di allontanarlo da tali inclinazioni, egli tra sferisce la sua stima per le feci sul “regalo” e sul denaro”. Sembra inve ce che consideri con particolare orgoglio la sua abilità nell’orinare. So che da tempo mi volete interrompere per gridare: «Basta con tali mostruosità! La defecazione sarebbe una fonte di soddisfacimento ses suale già sfruttata dal lattante! Le feci una sostanza preziosa, l’ano una specie di genitale! Non lo crediamo, ma capiamo perché pediatri e pe dagoghi abbiano rifiutato la psicoanalisi e i suoi risultati». No, signori miei! Avete semplicemente imenticato che io volevo presentarvi i dati di fatto della vita sessuale infantile in relazione ai dati di fatto delle per versioni sessuali. Perché non dovreste sapere che l’ano assume in effetti, per un gran numero di adulti – sia omosessuali che eterosessuali-,il ruolo della vagina nei rapporti sessuali? E che ci sono molti individui che mantengono per tutta la vita una sensazione voluttuosa durante la defecazione e non la descrivono affatto come insignificante? Per quanto riguarda l’interesse per l’atto della defecazione e il piacere di guardare la defecazione di un altro, potete sentirvelo confermare dagli stessi bambini, quando sono diventati un po’ più grandi sono in grado di raccontarvelo. Naturalmente non dovete aver prima sistematicamente intimidito questi bambini, altrimenti capiscono che non ne devono parlare. E per tutte le altre cose a cui non volete credere, vi rimando ai risultati dell’analisi e dell’osservazione diretta sui bambini, e vi dico che occorre addirittura un’arte per non vedere tutto ciò o vederlo diversamente. Non sono neppure contrario al fatto che siate colpiti dall’affinità tra l’attività sessuale infantile e le perversioni sessuali.[…] Permettetemi di proseguire nella mia breve descrizione della sessualità infantile. Potrei completare ciò che ho riferito in merito a due sistemi organici prendendo in considerazione anche gli altri. La vita sessuale del bambino consiste nell’attività di una serie di pulsioni parziali che, indipendentemente I’una dall’altra, cercano di ottenere piacere in parte sul proprio corpo, in parte già su oggetti esterni. Tra questi organi spiccano molto presto i genitali; ci sono persone per le quali il conseguimento del piace re sul proprio genitale, senza l’aiuto di un altro genitale o di un oggetto, continua senza interruzione dall’onanismo del lattante sino al necessario onanismo degli anni della pubertà, proseguendo poi per un tempo inde terminato. Il tema dell’onanismo non è esauribile, del resto, così in fretta; è una materia che deve essere trattata da molteplici punti di vista. Sebbene tenda ad abbreviare ancora di più il tema, devo dirvi ancora qualcosa sull’esplorazione sessuale dei bambini. Essa è troppo caratteristica per la sessualità dei bambini e troppo importante per la sintomatologia delle nevrosi. L’esplorazione sessuale infantile inizia molto presto, a volte prima del terzo anno di vita. Essa non è legata alla differenza tra i sessi, che non dice nulla al bambino, poiché questi – almeno il maschio – attribuisce lo stesso genitale a entrambi i sessi. Se il bambino fa la scoperta della vagina su una sorellina o una compagna di giochi, cerca inizialmente di negare ciò che i suoi sensi gli hanno testimoniato, perché non si può immaginare un essere umano simile a lui senza quella parte cosi preziosa per lui. In seguito, si spaventa della possibilità che gli si presenta, ed eventuali minacce fattegli in precedenza perché si occupava troppo del suo piccolo membro ottengono un effetto postumo. Egli cade sotto il dominio del complesso di castrazione, la cui configurazione ha una gran parte nella formazione del suo carattere, se rimane sano, nella sua nevrosi, se si ammala, e nelle sue resistenze se si sottopone a un trat tamento analitico. Sappiamo della bambina che si ritiene molto svan taggiata per la mancanza di un pene grande, visibile, ne invidia al bam bino il possesso, e sviluppa perciò il desiderio di essere un uomo, desi derio che, in seguito, verrà ripreso nella nevrosi che comparirà se ella avrà fallito nel suo ruolo di donna. Del resto, nell’età infantile la clitori de della bambina svolge esattamente il ruolo del pene, è portatrice di una particolare eccitabilità, il punto in cui viene ottenuto il soddisfaci mento autoerotico. Ể molto importante, perché la bambina diventi don na, che la clitoride ceda tempestivamente e completamente questa sensi bilità all’orifizio vaginale. Nei casi di cosiddetta anestesia sessuale delle donne, la clitoride ha conservato ostinatamente tale sensibilità. L’interesse sessuale del bambino si rivolge dapprima piuttosto al problema di dove vengano i bambini, lo stesso che sta alla base della do manda posta dalla Sfinge tebana, e che viene risvegliato, il più delle vol te, da un timore egoistico suscitato dalla comparsa di un nuovo bambino. La risposta d’uso, tenuta pronta, che è la cicogna a portare i bambini, incontra, molto più spesso di quanto pensiamo, incredulità già in bambi ni piccoli. La sensazione di essere ingannati dagli adulti sulla verità con tribuisce molto all’isolamento del bambino e allo sviluppo della sua in dipendenza. Ma il bambino non è in grado di risolvere questo problema con i suoi mezzi. La sua costituzione sessuale non sviluppata pone limiti ben determinati alla sua capacità di conoscenza.[…] Il bambino divenuto più grande si accorge presto che il padre deve partecipare in qualche modo alla venuta dei bambini, ma non è in grado di indovinare quale. Se per caso è testimone di un atto sessuale, vi vede un tentativo di sopraffazione, una zuffa, il fraintendimento sadico del coito. Ma all’inizio non collega questo atto alla venuta del bambino. An che se scopre tracce di sangue nel letto e nella biancheria della madre, le considera come prova di una ferita procuratale dal padre. Negli anni infantili ancora seguenti sospetta che il membro genitale dell’uomo abbia una parte essenziale nella nascita del bambino, ma non è capace di attribuire a questa parte del corpo altra funzione che quella della minzione. Da principio i bambini sono concordi nel credere che la nascita debba avvenire atraverso I’intestino, il bambino dunque viene alla luce come una massa fecale. Solo dopo che tutti gli interessi anali hanno perso il loro valore, questa teoria viene abbandonata e sostituita con l’ipotesi che l’ombelico si apra, o che il punto in cui avviene la nascita sia la re gione del seno tra le due mammelle. In tal modo il bambino, esplorando, si avvicina alla conoscenza dei fatti sessuali, o confuso dalla sua ignoranza vi passa accanto, sino a quando, il più delle volte negli anni che precedono la pubertà, riceve una spiegazione di solito incompleta e svalutativa, che non di rado produce effetti traumatici. Di certo avrete sentito dire, signori, che il concetto di “sessuale” nella psicoanalisi subisce un ampliamento indecoroso al fine di avvalorare le tesi del determinismo sessuale delle nevrosi e del significato sessuale dei sintomi. Ora potete giudicare voi stessi se tale ampliamento sia illegittimo. Abbiamo esteso il concetto di sessualità solo fino al punto da potervi comprendere anche la vita sessuale dei perversi e dei bambini. Ciò significa che gli abbiamo ridato le sue giuste proporzioni. Ciò che al di fuori della psicoanalisi viene chiamato *sessualità”, si riferisce soltanto a una vita sessuale limitata, al servizio della riproduzione e definita normale.”
Lo sviluppo stadiale psico-sociale del bambino di Erik Erikson
Secondo la teoria dello psicologo e psicoanalista tedesco Erik Erikson, fin dalla nascita ha inizio lo sviluppo psicologico del bambino, che porterà gradualmente alla formazione della sua individualità e della sua personalità. Si tratta di un processo graduale, che passa attraverso le diverse fasce di età e si esprime tramite una serie di cambiamenti, il cui manifestarsi è influenzato dallo sviluppo dei suoi processi cognitivi ed affettivi e dalle componenti ambientali e sociali. Erikson sostiene che l’evoluzione della psiche dall’infanzia non dipende solamente da fattori biologico/genetici, ma si forma a partire da certe interrelazioni sociali. Vissuto in un epoca in cui c’era più la tendenza a considerare i fattori innati egli mette in evidenza come invece l’ambiente sociale in cui un individuo cresce influenza una grossa parte della sua individualità. Così pone la sua attenzione alle ripercussioni sulla socialità di tutti quei momenti di vita a partire da quando il bambino ha il primo contatto con l’altro sino all’età senile. Eriksson vuole mettere in evidenza come gli anni della crescita si susseguono mantenendosi comunque collegati gli uni a gli altri e influenzandosi reciprocamente per tutto l’arco della vita. Bisogna ricordare che Erikson fu allievo a Vienna di Anna Freud perciò le sue tesi poggiano sullo sviluppo delle fasi psicosessuali della psicoanalisi. Infatti nei suoi testi sottolinea che i suoi studi rappresentano un tentativo di spiegare quali effetti si possono osservare sul piano sociale nel momento in cui si susseguono le varie fasi dello sviluppo psicosessuale cosi classificati da Freud. In particolare l’osservazione di tanti piccoli pazienti gli permise di formulare la sua teoria dello sviluppo in 8 fasi includendo l’intero ciclo di vita. Secondo la tendenza della psicologia dell’Io di quell’ epoca grazie agli studi di Hartmann e di Anna Freud, Erikson partì dall’idea di un complesso di pulsioni di origine biologica, da cui scaturivano le motivazioni che inducono una persona a stabilire legami sociali e a definire per sé un ruolo utile alla società in cui vive. Mentre per Freud lo sviluppo sociale risulta determinato in maniera quasi irreversibile dalle esperienze fatte nei primi 5/6 anni di vita, per Erikson tale sviluppo continua per tutta la vita e può essere influenzato da ogni nuova esperienza. Di conseguenza Eriksson suddivise l’arco dell’esistenza in 8 stadi psicosociali, ognuno dei quali associato ad uno specifico problema, o eventi critici, che devono essere risolti dall’Io e a cui l’ambiente partecipa attivamente facilitando la soluzione o interferendo negativamente. La teoria di Erikson individua un’ampia gamma di bisogni sociali e propone che, ad ogni stadio dello sviluppo della personalità, prevalga un bisogno diverso. Il modo in cui la persona affronta i bisogni principali connessi allo stadio di sviluppo in cui si trova influisce sullo sviluppo dell’Io e come esso entrerà nello stadio successivo.
I brani che seguono sono tratti da un’intervista a Erikson (La Psicologia oggi a cura di R.I.Evans Newton Compton 1981).
“Erikson definì «epigenesi» il susseguirsi di questi otto stadi: “epi” significa «sopra»; “genesi” «nascita», «Epigenesi», quindi, significa che un elemento si sviluppa sopra ad un altro nello spazio e nel tempo; definizione estesa poi in modo da includere una gerarchia di stadi e non soltanto la sequenza. Ad ogni stadio della vita e della esperienza, caratterizzato da una dicotomia tra due tendenze opposte, l’autore associa lo sviluppo di quelle che chiama “virtù”:
“Io ho cercato di descrivere quelli che mi sembravano i principali punti di forza dell’uomo. Un po’ provocatoriamente ho chiamato questi col nome di “virtù”, in modo da indicare una base evoluzionistica”.
Il primo stadio viene chiamato “orale–sensorio” e “cinestetico”.
“L’oralità, vale a dire il complesso delle esperienze che ruotano intorno alla bocca, si sviluppa in rapporto alla madre che nutre, che protegge, che coccola e dà calore. La prima cosa che impariamo nella vita è immettere, e il principale atteggiamento psicosociale che impariamo è che possiamo aver fiducia nel mondo quando assume la forma della propria madre. Inoltre, le madri a seconda delle culture, delle classi e delle razze devono insegnare questa fiducia in modi diversi, perché possa corrispondere alla rispettiva versione culturale dell’universo. Imparare però a diffidare è quasi altrettanto importante”.
A partire da un rapporto favorevole tra la fiducia e la diffidenza, il primo stadio per l’uomo vedrebbe quindi lo sviluppo della speranza: la speranza è un punto di forza fondamentale per l’uomo, senza la quale non potrebbe sopravvivere.
Nel secondo stadio assistiamo ad uno sviluppo muscolare – anale, collegato al livello narcisistico di cui parlava Freud. Erikson descrive il tratto psicosociale che si svilupperebbe parallelamente a questo livello anale come il rapporto tra l’autonomia da un lato e la vergogna e il dubbio dall’altro. Man mano che i bambini conquistano autonomia nelle abilità principali, debbono imparare anche a non dubitare di sé quando non riescono a padroneggiarle immediatamente.
“L’aspetto muscolare – anale rientra nello sviluppo della muscolatura in generale e quindi il bambino che entra in questa fase dello sviluppo deve imparare non solo a controllare gli sfinteri , ma anche i muscoli e ciò che “vuole” da loro. E’ ovvio che gli organi urinari ed anali sono legati fisiologicamente allo sviluppo psicosessuale ed anche all’aggressività. Basti pensare alle parolacce! Solo all’interno di culture in cui alla pulizia e alla puntualità si desse eccessiva importanza per ragioni tecnologiche e sanitarie, il controllo anale potrebbe trasformarsi in un grave problema per il bambino. Il passaggio, tuttavia, dal primo al secondo stadio comporta anche una di quelle «crisi» umane tanto difficili. Ed infatti, appena il bambino ha imparato ad avere fiducia nella madre e nel mondo, deve sviluppare una propria volontà e deve rischiare la propria fiducia per vedere che cosa è in grado di volere. Le diverse culture hanno modi diversi di coltivare o spezzare questa volontà. Alcune si servono della vergogna, che può diventare una terribile forma di autoestraniazione per l’individuo. L’autonomia, quindi, deriverà dalla risoluzione positiva dei sentimenti di vergogna e di dubbio che si sviluppano durante questo periodo muscolare – anale”.
Prendendo in esame questa polarizzazione, Erikson non afferma che un aspetto si deve sviluppare e l’altro no. Entrambi devono invece emergere a questo stadio dello sviluppo, ma il rapporto deve essere a favore dell’autonomia. Se per certi aspetti si ha relativamente più vergogna che autonomia, ci si sentirà o si agirà da inferiori per il resto della vita, oppure ci si opporrà coerentemente a questo sentimento.
Il terzo stadio, che nella nostra cultura si colloca tra i due e i quattro anni di età, è quello “locomotorio – genitale” che corrisponde alla fase fallica di Freud. A questo riguardo Erikson parla di sviluppo dello spirito di iniziativa in rapporto al senso di colpa: i bambini si trovano ora a dover risolvere i conflitti tra il prendere iniziative e il sentirsi in colpa per aver passato i limiti. Lo stadio fallico nella teoria freudiana parlava di situazione edipica, in cui il bambino si innamora della madre e la bambina del padre, ragione per la quale il bambino si identifica con il padre e ampia il suo senso dell’Io dal punto di vista dell’identità di genere.
“Quando si dice che il bambino si innamora della madre e che in seguito avrà dei problemi per liberarsi di questo amore, si deve ricordare anche che la madre agli inizi era tutto per lui. Il problema è che la madre viene coinvolta spontaneamente nelle prime fantasie genitali del bambino, quando questi si trova in un periodo in cui la sua iniziativa può e deve distogliersi dall’ambiente familiare e trovare nuovi obiettivi. E’ questo il periodo in cui si sviluppano nel bambino nuove importanti facoltà e se queste potenzialità si possono sviluppare completamente egli correrà meno pericoli di subire gravi complessi”.
La virtù particolare che Erikson vede emergere da tutto ciò è lo “scopo”. Dallo spirito di iniziativa, quindi, deriverebbe un orientamento verso alcuni fini.
“Il bambino comincia a intravedere dei fini per i quali la locomozione e i processi cognitivi lo hanno già preparato. Egli comincia anche a pensare di essere grande e ad identificarsi con le persone, il cui lavoro e la cui personalità può capire ed apprezzare. Il concetto di “scopo” racchiude questo insieme di elementi. E’ in questo periodo che al bambino tocca reprimere o riorientare molte delle fantasie sviluppate precedentemente. Paradossalmente egli continua a sentirsi in colpa per le sue fantasie”.
Il periodo successivo è chiamato della “latenza”. E’ un periodo corrispondente grosso modo a quello chiamato in modo analogo da Freud, anche se è differenziato per i tratti psicosociali corrispondenti: industriosità e inferiorità.
“Quando si parla del bambino nella sua totalità e non soltanto della libido e dei meccanismi di difesa, si deve considerare che ad ogni stadio il bambino diventa una persona molto diversa, con maggiori capacità cognitive ed una maggiore abilità nell’interagire con un più ampio arco di persone verso le quali è interessato, che capisce e che reagiscono nei suoi confronti. Vi è un’enorme curiosità in questo stadio della vita: un desiderio di imparare e di conoscere. Durante il periodo di latenza, quindi, si sviluppa la polarizzazione tra industriosità ed inferiorità, ed emerge la virtù della competenza. L’inferiorità nasce dal fatto che i tentativi di padronanza da parte del bambino sono falliti”.
Nel periodo della “pubertà” o “adolescenza” tra i tredici e i quattordici anni, vengono introdotti i meccanismi psicosociali dell’identità in contrapposizione all’acquisizione dei ruoli.
Erikson sostiene che l’individuo non può svilupparsi pienamente senza l’acquisizione di un forte senso d’identità alla fine dell’adolescenza. La virtù sviluppata in questo stadio è la fedeltà. Quando Erikson parla di “fedeltà” non intende la fede in una particolare ideologia, così come con il termine “speranza” non intende un concetto religioso, intende piuttosto che tali virtù sono necessarie per l’adattamento dell’uomo allo stesso modo in cui gli istinti lo sono per gli animali: “direi che abbiamo quasi un istinto di fedeltà, intendendo con questo che quando l’individuo arriva ad una certa età può e deve imparare ad essere fedele ad una posizione ideologica”. Erikson aggiunge che dal punto di vista psichiatrico, senza lo sviluppo di una tendenza a mantenere una costanza circa le sue idee (in questo senso fedeltà verso se stessi) l’individuo svilupperà un Io debole. Oppure potrebbe cercare dei gruppi verso i quali compensare questa mancanza sostituendola con l’identità ideologica del gruppo. Sulla base di determinati processi cognitivi il giovane si mette alla ricerca di un quadro ideologico cui fare riferimento per una prospettiva di ampio respiro. Gli adolescenti sono attratti spesso dai regimi che li rassicurano temporaneamente circa alcune loro fragilità. Per quanto possono mettere un’enorme quantità di energia a disposizione di gruppi che condividono le stesse posizioni; alle volte possono diventare anche gruppi estremi. Per quanto riguarda lo stadio successivo del quadro epigenetico di Eriksson, quello del “giovane adulto”, Erikson parla di intimità ed isolamento e della virtù dell’amore, riferendosi con ciò a rapporti intimi, come l’amicizia, l’amore, il sesso, oltre all’intimità con se stessi, con le proprie risorse interne, le emozioni e l’impegno personale.
“L’intimità è in sostanza la capacità di fondere la propria identità con quella degli altri, senza perdere nulla di se stessi. E’ questo sviluppo dell’intimità che rende possibile il matrimonio come scelta consapevole di un legame. Quando ciò non si verifica, il matrimonio non ha significato, anche se a volte lo sviluppo interno ha bisogno del legame formale”.
Nello stadio successivo, quello dell’adulto, il rapporto davanti al quale si trova l’individuo è quello della generatività e della stagnazione. E’ il momento in cui si trova una propria collocazione nella società, cominciando ad assumere un ruolo e a collaborare allo sviluppo o al miglioramento di ciò che questa produce. L’individuo se ne assume la responsabilità. Col termine “generatività”, da non confondere con creatività, invece, Erikson si riferisce a tutto ciò che è generato, da una generazione all’altra: bambini, merci, idee e anche opere d’arte. La virtù che accompagna il concetto di generatività, contrapposto a quello di autoassorbimento (stagnazione), è la “preoccupazione” (in inglese care”), intesa in un senso che include sia “la preoccupazione di fare qualcosa”, sia quella “per” qualcuno o qualcosa, sia nel senso di “preoccuparsi di qualcosa che richiede protezione ed attenzione” ed infine nel senso di “preoccuparsi di non fare” qualcosa di negativo.
L’ultimo stadio è quello della maturità e dell’anzianità. La dicotomia è quella dell’integrità e della disperazione, mentre la virtù corrispondente è la saggezza.
“solo nell’anzianità si può sviluppare un’autentica saggezza in coloro che ne hanno la potenzialità. Con gli anni, del resto, non può non maturare una certa saggezza, foss’altro che nel senso che l’individuo arriva ad apprezzare ed a incarnare qualcosa della saggezza dei tempi o del buon senso popolare”.
Erikson crede che il potenziale per lo sviluppo della forza dell’io derivi dal compimento positivo di tutti i processi evolutivi precedenti.
“Io ritengo che il nostro senso d’identità sia composto di elementi positivi e negativi. Vi sono delle cose che vogliamo diventare, che sappiamo gli altri si attendono da noi e che in adeguate condizioni storiche e sociali possiamo effettivamente realizzare. Vi sono poi altre cose che non vogliamo e non dovremmo fare”.
Erikson aggiunge che anche se un individuo riesce a superare una fase e ad andare a quella successiva mutamenti nel corso della vita possono aprire le criticità non completamente risolte a quell’epoca. Per esempio durante la vecchiaia l’individuo che non ha risolto adeguatamente un problema emerso in precedenza potrà ritrovarsi nella condizione di doverlo nuovamente affrontare. Spesso il tema della malattia e della morte toccano le note del deterioramento del corpo e dei limiti che questo comporta. Questo tema diventa l’elemento di criticità che richiede all’Io le forze per trovare una soluzione. Da come l’individuo affronterà questo problema potrà diventare più saggio oppure cadere nella rassegnazione. Questo modo di intendere l’intero arco di vita dell’individuo permette al clinico di riflettere sulla possibilità di aiutare un paziente tenendo conto della fase che sta attraversando e di analizzare come sia giunto sino a quello stato maturativo. In questo modo è possibile avere una visione d’insieme teorica utile nelle tante situazioni problematiche che vengono presentate dai vari pazienti al clinico.
Grazie dell’attenzione
Psucologa Psicoterapeuta Psicoanalitico
Dott.ssa Giulia I. De Carlo