Perché Jung vide nel Cristo l’ORO alchemico?
Nel 1939, mentre teneva un seminario sugli esercizi spirituali di sant’Ignazio e parallelamente lavorava a Psicologia e alchimia, Jung ebbe una visione che gli fece capire l’analogia di Cristo con l’«oro alchemico» e con la «viridità» degli alchimisti. Da questa visione Jung immaginò che affinché qualcosa di nuovo e buono emerga – ciò che lui chiama oro sarebbe necessario che si realizzi un processo di trasformazione, in cui qualcosa necessita di essere sacrificato per produrre un risultato.
Prima di continuare e doveroso spiegare cosa era l’oro per gli alchimisti e il processo di “viridità” (ossia l’opera al verde). L’alchimia era definita l’arte di trasmutare i metalli vili (piombo, stagno, mercurio, rame, ferro) in metalli nobili (oro e argento). Nel passato alcuni individui speravano di riuscire a trovate i procedimento chimici per ottenere metalli preziosi da metalli comuni. In contemporanea a questo c’erano degli alchimisti che vedevano il processo di trasmutazione dei metalli dal punto di vista simbolico. Questi individui operavano le loro ricerche in laboratori dove utilizzavano vari strumenti, contenitori e fuoco per maneggiare diverse sostanze. Affinché un procedimento potesse dare il risultato desiderato pensavano che fosse necessaria una certa preparazione, che contemplava da una parte la pulizia degli strumenti e una precisione di tutte le fasi. Da un’altra parte il risultato finale dipendeva dall’integrità e dall’etica della persona che operava questi procedimenti. Dunque le operazioni chimiche che avvenivano in questi laboratori avevano a che fare, con i materiali maneggiati, ma anche dalle capacità intellettuali, spirituali e si saggezza della persona che praticava questi esperimenti. Pertanto trovare l’oro era l’obbiettivo finale del opera alchimica e in un certo senso poteva avvenire quando un individuo riusciva a divenire sempre più saggio e sapiente, oppure riusciva a realizzare una elevazione spirituale. Oltre alla simbologia della trasmutazione dell’oro gli alchimisti prendevano a prestito i fenomeni naturali per simbolizzare tutte le “trasformazioni”, quei processi legati al ciclo della vita vegetale come: la scomposizione della sostanza organica, la creazione di humus, la germinazione, la produzione di foglie, la crescita della pianta, la fioritura, la fruttuficazione per procedere verso la fine del suo ciclo di produzione con la perdita di foglie.
Chiamata questa “Grande Opera” dagli alchimisti era conosciuta in latino come Magnum Opus, è rappresenta l’itinerario alchemico di lavorazione e trasformazione della materia prima, che consiste in diversi passaggi che conducono gradualmente alla metamorfosi. Originariamente le fasi della Grande Opera erano quattro diversificati per colore in opera al nero, al bianco, al giallo e al rosso.
L’opera al nero è il Nigredo, annerimento o melanosi, associato all’elemento terra, e in linea generale al piombo, la putrefazione, la decomposizione, la separazione, vitriol, il caos primordiale, la notte, Saturno, il simbolo del corvo, l’inverno, la vecchiaia;
L’opera al bianco è l’Albedo, sbiancamento o leucosi, associato all’elemento acqua, l’argento, la distillazione, la calcinazione, la purificazione, l’alba, la Luna, il femminile, il simbolo del cigno, la primavera, l’adolescenza;
L’oepra al giallo è la Citrinitas, ingiallimento o xanthosis, associato all’elemento aria, l’oro, la sublimazione, la combustione, il giorno, il Sole, il maschile, il simbolo dell’aquila, l’estate, la maturità;
L’opera al rosso è la Rubedo, arrossamento o iosis, associato all’elemento fuoco, il mercurio filosofale, il cinabro, la coagulazione, il tramonto, l’incontro tra Sole e Luna, l’androgino quale fusione tra maschile e femminile, il rebis, il matrimonio tra anima e spirito, le nozze alchemiche, la pietra filosofale, il simbolo della fenice, Ermes, Mercurio, il caduceo, Prometeo.
La conoscenza di queste quattro fasi risale almeno al primo secolo. Zosimo di Panopoli, collocabile alla fine del terzo secolo. Dopo il Medioevo molti scrittori tesero tuttavia a prendere in considerazione solo tre di esse, inglobando la Citrinitas, ossia l’Opera al Giallo, nella Rubedo. Altri stadi associati a un diverso colore vengono a volte aggiunti, in particolare la Viriditas, ossia un’Opera al Verde che precede la Rubedo, e la Cauda Pavonis o “coda di pavone”, in cui compare una vasta gamma di colori, situabile subito dopo la Nigredo. Il verde era considerato, su un piano diverso, una tintura intermedia tra bianco e nero, seppure fosse anch’esso solo un passaggio preparatorio alla Rubedo o Opera al Rosso, culmine di ogni colore
Le tre fasi principali divennero a ogni modo la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo.
Alle varie fasi corrispondevano dei precisi processi chimici da eseguire, ad esempio alla Nigredo sarebbe stato associato il nero della putrefazione, all’Albedo poteva essere associata la purificazione ottenuta per distillazione oppure calcinazione, alla Citrinitas la combustione, e infine alla Rubedo la sublimazione o la fissazione.
📜Jung associò le vicende del Cristo alla grande opera di trasformazione che, secondo lui, deve operare ogni individuo se vuole realizzare se stesso. Vide nelle vicende che riguardano la sua morte e resurrezione i momenti che ogni individuo deve attraversare nel lavoro di analisi del suo inconscio. L’incontro con il proprio inconscio coincide con la possibilità di riprovare ricordi o esperienze dolorose. Spesso la mancata elaborazione di queste esperienze sta alla base di blocchi, stati di malessere emotivo e sintomi. Il processo di elaborazione di contenuti psichici alle volte è lento e doloroso in questo senso può essere associato alla vita e alla passione di Cristo. Jung probabilmente fece una associazione tra le vicende storiche della figura del Cristo e le fasi dolorose di passaggio nei processi di elaborazione di contenuti inconsci. Nel capitolo di Psicologia e alchimia dedicato al parallelo Lapis-Cristo, il processo di trasformazione inizia prendendo coscienza degli elementi di separazione e dissoluzione tipici della nigredo o morte-putrefazione, ciò che fa dell’esperienza alchemica una vera iniziazione. Il filius philosophorum prodotto dall’alchimia rappresenta la controparte ctonia di Cristo; il primo redime il macrocosmo, il secondo il microcosmo. Per Jung la morte di Dio significa che il “suo Figlio, il Dio incarnato, è realmente morto e risorto, nel corpo e nell’anima.” Queste parole possono essere interpretate affermando che la morte di Cristo è un fenomeno universale, in quanto la croce ritornerà in eterno, sia collettivamente sia individualmente: ogni uomo, sulla via della propria individuazione, deve “abbracciare la propria tigre” o “portare la propria croce”, cioè affrontare i propri ostacoli e superarli. Nel libro Rosso Jung afferma che ogni persona deve perseguire il proprio destino, ossia “la via, la verità e la vita” (LR 231). Il che non significa imitare Cristo, ma essere Cristo.”[…] Dice nel libro Rosso “Anche la mia via mi porta alla croce, non alla croce di Cristo, bensì alla mia croce personale, che è l’immagine del sacrificio e della vita”. Il simbolo del Cristo è per Jung un archetipo di trasformazione interiore ma per promuovere i propri progressi è necessario rivivere quelle esperienze che lui ha vissuto. Aprire le porte dell’anima per Jung è dare spazio al Dio veniente, nel bene e nel male; non semplicemente accoglierlo come maestro, ma interiorizzarlo, berne il sangue e mangiarne il corpo (LR.p.367) “Dovete essere lui stesso, non cristiani, ma cristi, altrimenti non sarete idonei per il Dio che viene”. (LR p. 234). Gesù risorto nel processo alchemico simbolicamente si può assimilare alla “rubedo”, l’ultima fase in cui si realizza il compimento, l’armonizzazione, la gioia, il raccolto, l’individuazione del Sé, la pienezza, l’apertura alla vita, la spiritualità, l’armonia, la pace interiore, l’amore universale, l’amore per se stessi, l’accettazione. L’opera al rosso, la rubedo è il momento del movimento dinamico degli opposti. Per Jung prendendo consapevolezza delle proprie contraddizioni, si può cominciare a realizzare un senso della propria centralità. La guida per realizzare questo obbiettivo può essere orientata da una forza originaria di cui sono dotati tutti gli esseri umani, questa dimensione è chiamata da Jung Sé. Il Se viene rappresentato come luce, come mandala, come quaterna, come centro e come Dio. Tale archetipo rappresenta lo “Spirito dell’Eterno” che gli parla attraverso i sogni, i simboli, gli archetipi in un linguaggio da decifrare, spesso attraverso il vecchio saggio Filemone. Questo incontro segue la spinta interiore verso la realizzazione di se che giunge quando c’è un allineamento tra l’Io e i comandamenti del Sé. Il coronamento dell’opera alchemica, ossia la Grande Opera di cui parlano gli alchimisti è per Jung è il processo di individuazione, che può avvenire se gli aspetti scissi e contraddittori dell’individuo trovano una sua risoluzione, una ricucitura. Per Jung i simboli permettono di rappresentare insieme contemporaneamente aspetti che possono apparire contrari alla mente razionale. In questo modo è possibile accedere ad un linguaggio analogico che supera le leggi della non contraddizione. A questo fine usa l’immagine delle “nozze mistiche” come modo di riunire gli opposti.
Il termine “coniuctio oppositorum”, che significa coniugazione degli opposti infatti, è un’espressione che Jung ricava dalla letteratura alchemica e impiega come metafora per indicare quell’opposizione della psiche che tende non ad annullare il contrasto ma a superarlo. Questo processo è reso possibile dall’operare simbolico di una sintesi conformemente all’etimologia greca di syn-ballein, che significa mettere insieme, com-porre, realizza un’unità superiore attraverso l’unione delle opposte polarità presenti nella psiche di ogni individuo, come razionalità e pulsionalità, maschile e femminile, pensiero ed eros, conscio e inconscio, quanto la polarità dei due termini della relazione terapeutica: paziente e analista. Queste unioni sono realizzabili solo se, in precedenza, gli opposti sono stati differenziati (spirito/materia, conscio/inconscio, luce/ombra), quando gli opposti vengono riuniti in un’unità in cui, paradossalmente, ognuno continua ad essere ciò che è, ma divenuto parte di una più ampia totalità.
Il colore associato alle nozze mistiche degli opposti è il rosso. Si tratta di uno stato di grazia. Antichi e moderni associano il rosso al sangue e alla vita, poiché senza sangue non si vive. Come simbolo di sacrificio dell’iconografia, il Cristo è spesso rappresentato con un manto rosso sopra ad una veste bianca, il simbolismo del rosso che si sostituisce al sangue del sacrificio permane nel rito dell’Eucarestia, rappresentato dal vino rosso. La forza evocativa del rosso deriva dal suo legame con i colore del sangue e del fuoco due elementi importanti per gli uomini antichi e che aveva forti sensazioni legati al fuoco. Dunque l’opera al rosso rappresenta quella condizione che porta al termine i processi di trasformazione, fase dopo fase seguendo un lungo cammino che termina dopo la risoluzione di quelli che Jung chiama “complessi”. Questi sono nodi problematici risalenti alle prime relazioni parentali che lasciano nell’adulto condizioni che ostacolano la piena presa della propria strada nella vita. La via dell’individuazione per Jung è un lungo cammino in cui si realizza una comunicazione sempre più intima con il proprio inconscio. Nel quinto capitolo della terza parte del testo ” Psicologia e Alchimia” viene presentato il parallelo tra Cristo e il lapis philosophorum, la pietra leggendaria che gli alchimisti cercavano di produrre nei loro laboratori. La figura di Cristo viene identificata come salvator microcosmi, ovvero come Redentore individuale, mentre il lapis è il salvator macrocosmi, cioè salvatore dell’intera natura. Ciò sottolinea nuovamente come quantomeno l’alchimia sia autonoma rispetto alla religione cristiana. Secondo Jung, la differenza principale tra il Cristianesimo e la scienza alchemica è poi, in effetti, il fine. Mentre il pilastro del cristianesimo è l’operare nel mondo in onore di Dio, nel mondo alchemico l’uomo era agente della liberazione della componente naturale dalla materia, assumendo quindi lui stesso il carattere di Redentore e redimendosi attraverso questo processo di trasmutazione. Per concludere bisogna riconoscere come per Jung l’alchimia rappresentava la manifestazione della realizzazione del Sé e dell’esplorazione dei meandri dell’inconscio. La trasmutazione stessa del piombo in oro ricordava il principio di individuazione: il piombo è l’IO che deve raggiungere un nuovo stato di trasmutazione, e l’oro è la realizzazione del Sé.
Bibliografia
Carl G. Jung: Psicologia e alchimia, Boringhieri, Torino, 1981
Carl G. Jung: Septem sermones ad muortos Arktos Carmagnola, 1989
Carl G. Jung: Mysterium Coniunctionis, Boringhieri, Torino, 1983
Jeffrey Raff: Jung e l’immaginario alchemico, Ed Mediterranee, Roma, 2008