QUANDO non si può più TORNARE INDIETRO c’è la Dea Ananke, la Dea dell’INEVITABILITÀ a tessere la trama del FATO
Ci sono dei momenti nella vita in cui è necessario fare delle scelte e poi non si può più tornare indietro. Nell’antica Grecia per spiegare l’ accadere degli eventi si attribuiva la causa agli Dei. Se a noi questa modalità può apparire semplicistica, invece alle genti di allora gli permetteva di accettare quegli eventi che le facevano sentire impotenti, infatti i riti propiziatori servivano ad guadagnarsi il benestare degli Dei sperando in una buona sorte. Immaginiamo come terremoti, alluvioni o gelate terrorizzassero le genti e venissero attribuiti a entità superiori. Per esempio si pensava che i fulmini venissero lanciati da Zeus per colpire i suoi nemici. Un aspetto molto particolare invece nell’antica Grecia riguardava il modo in cui si considerava la NATURA. Veniva concepita come qualcosa che precedeva l’esistenza di tutte le divinità, tutto ciò che accadeva seguiva la logica della “necessità”. Non comprendendo il motivo dei cicli della natura affermavano che sempre sono stati e sempre saranno perché la natura segue la logica della “necessità”. Le genti pensavano che l’esistenza stessa della natura con le sue piante, la terra, le sue valli, montagne, mari e laghi l’intercedere delle stagioni seguivano una logica ciclica per cui tutto accadeva per “inevitabilità”. I popoli di allora probabilmente vedevano che tutto seguiva delle fasi che si alternavano, pensiamo ai raccolti e consideravano questo eterno ripetersi della natura come un ciclo continuo in cui ogni fase era necessaria a quella successiva e precedente. In questo scenario immutabile la personificazione degli Dei rispondeva probabilmente al bisogno di rivolgersi ad entità nei confronti di diverse questioni problematiche dalle guerre ai conflitti sociali sino alle malattie e alla morte. Di fronte alle sciagure della vita un modo di affrontarle era quello di chiedere intercezione alle divinità in questo modo veniva placato, probabilmente, il senso di impotenza che generava nell’interiorità. E dunque i riti propiziatori spesso erano un tentativo di ingraziarsi gli Dei, nella speranza che in quel modo proteggessero le comunità. Circa gli eventi della vita personale e dell’inevitabilità delle cose che accadevano sia nel bene che nel male era sorta la rappresentazione di una particolare divinità ANANKE. In questo modo si attribuiva un senso a tutto ciò che non poteva essere spiegato. Infatti Ananke nella religione greca antica, era appunto la Dea del destino, della necessità inalterabile del fato. Ananke con Zeus, secondo alcune fonti diedero alla luce tre figlie le Moire. Le Moire avevano il compito di tessere il filo del fato di ogni uomo, svolgerlo ed, infine, reciderlo segnandone la morte. Uno dei racconti pervenuti sino ai nostri tempi che spiega come Ananke agiva è il Mito di Er[1] scritto da Platone nel capitolo decimo della Repubblica.
Il mito narra di Er un soldato valoroso morto in battaglia che, mentre stava per essere arso sul rogo funebre, si ridestò dal sonno mortale e raccontò di aver viste all’opera nell’aldilà Ananke e le sue figlie, le Moire, mentre tessevano il destino delle anime degli uomini. Il mito racconta che l’anima di Er non appena uscita dal corpo si era unita a molte altre e camminando era arrivata in un luogo divino, dove c’erano dei giudici. Questi giudici esaminavano le anime e ponevano sul petto dei giusti e sulle spalle dei malvagi la sentenza ordinando ai primi di salire al cielo e agli altri di andare sottoterra. Le anime rimaste per sette giorni in quel luogo venivano poi costrette a camminare per quattro giorni fino a quando giungevano in vista di una specie di arcobaleno dove a un capo pendeva il fuso, simbolo del destino, posato sulle ginocchia della dea Ananke (Necessità). Il fuso aveva come peso otto vasi concentrici rotanti disposti uno dentro l’altro. Su ogni cerchio vi era una Sirena che emetteva il suono di una sola nota che unendosi alle altre formava un’armonia. Le figlie di Ananke, le tre Moire, sedevano in cerchio poco distanti dalla madre: Cloto filava e cantava il presente, Lachesi, il passato, e Atropo, “colei che non può essere dissuasa”, il futuro. Un araldo presentava le anime disposte in fila a Lachesi e, dopo aver preso dalle sue ginocchia un gran numero di sorti e modelli di vita, procedeva al sorteggio dell’ordine di scelta, avvertendo che ognuno sarebbe stato responsabile della sua scelta e che nessuno sarebbe stato troppo svantaggiato, poiché anche chi avesse scelto per ultimo avrebbe comunque avuto più modelli di vita tra cui scegliere. Er raccontava poi come le anime sceglievano, oltre che in base alla fortuna del sorteggio, secondo le abitudini contratte nella vita precedente. In questo modo le anime potevano ritornare sulla terra.
Il mito di Er fu scritto dal filosofo greco Platone e contiene la sua convinzione che l’essere umano abbia una responsabilità morale nei confronti del proprio destino dopo la morte. Concetto questo in parte estraneo alla concezione tradizionale greca della vita e della morte. Era tendenza comune pensare che l’essere umano non potesse fare nulla per influenzare il proprio destino, solo gli Dei potevano decidere cosa dovesse accadere e agli uomini spettava in fine il viverlo passivamente. Nel mito di Er Platone sembra voler impartire una lezione proveniente dalla dottrina socratica e mostra, sotto forma di racconto come l’individuo invece ha una possibilità di scelta, infatti sono proprio gli Dei che l’hanno consultato ma poi di questa scelta se ne deve assumere la responsabilità. Intanto va sottolineato come nell’antichità molte conoscenze, racconti, miti, storie riguardanti le divinità erano tramandate prevalentemente in modo orale. Ad un certo punto gli intellettuali del tempo cominciarono a inserire queste antiche conoscenze nei loro scritti seguendo gli scopi che volevano perseguire. Infatti considerando che Platone visse nel 400 Avanti Cristo, probabilmente non avrà inventato questo mito ma attinto dalla tradizione orale e lo avrà usato per impartire un insegnamento. Pertanto è possibile pensare che il mito assolva per come è posto, anche, un fine educativo. La figura della dea Ananke con le sue figlie Moire che interpellano le anime dei defunti prima di farle tornare sulla terra in un’altra vita mostra come gli Dei si occupino delle cose dei mortali per questo è necessario adempiere al proprio destino. Prendendo questo mito come l’origine dello scopo che si ha nella vita, Hillman sottolinea come la Dea Ananke può dare senso a quei passaggi fondamentali necessari per comprendere delle importanti lezioni esistenziali. Ogni individuo deve attraversare spesso delle sofferenze per comprendere fino in fondo il senso e l’importanza di alcuni suoi bisogni. Spesso questi bisogni hanno a che fare con le proprie vocazioni e i propri talenti che se non vengono alimentati rischiano di inaridire la vita, di inserire l’individuo in un tram tram senza gioia. Le conseguenze di ciò sono necessariamente a livello emotivo e anche corporeo. Il rischio di cadere in quotidianità sterili è frequente a causa di una serie di circostanze potenzialmente alienanti. A questo punto Hillman nella sua pratica clinica sottolinea come per ritrovare se stessi alle volte è necessario passare dal dolore. Il dolore e la sofferenza emotiva sono quei segnali inevitabili indicatori che qualcosa non va, inoltre rappresentano quei motori che forniscono l’energia per reagire. La Dea Ananke rappresenta per Hillman la necessità di attraversare il dolore in alcuni momenti del percorso terapeutico. Secondo lo psicologo per evolversi e realizzare se stessi alle volte è necessario fare un viaggio, ripercorrendo la propria vita e andando a rivisitare quelle esperienze che hanno lasciato delle lacerazioni nella formazione della propria personalità. In questo senso Ananke rappresenta l’inesorabile necessità di tornare con la mente in quei momenti, perché, alle volte, è solo in questo modo che è possibile risolvere dei blocchi o dei sintomi della propria vita.
Hillman, psicoanalista junghiano scrive poeticamente che la Dea Ananke:
“non ha un trono né conosce preghiere. Rappresenta l’inevitabile angoscia cui ogni uomo va incontro nel corso della vita e che, da Platone, viene descritta evocativamente come una strettoia oltre la quale è necessario passare se si vuole giungere nel mondo delle idee pure e autentiche.”
Racconta lo psicoanalista statunitense che solo Atena riesce a “piegare” Ananke grazie all’arte della persuasione (dote di Peitho). L’unico modo per persuadere Ananke, continua Hillman, è di darle ascolto e di accettarla come parte integrante della propria vita. Nella iconografia deica vediamo che gli antichi Dei sono capaci delle più grandi gesta eroiche, ma anche di compiere brutalità inaudite e , nonostante tutto… rimangono pur sempre Dei. Queste caratteristiche opposte sono compresenti all’interno anche della natura umana e i psicoanalisti junghiani, come Hillman, ritengono che solo quando si reprime/rimuove un lato di sé si corre il rischio di allontanarsi dalla propria natura, cadendo nell’unilateralità e lasciando nell’ombra alcuni lati importanti di noi stessi. Infatti nella psicologia analitica, M-L Von Franz descrive il medesimo concetto riprendendo le parole di un suo paziente: “Se si uccidono i demoni”, dice l’analizzato, “si uccidono anche gli angeli”. Il paradosso del conflitto psichico come viatico necessario per la comprensione di sé è l’essenza stessa della mitologia greca e del pensiero analitico.
Approfondimenti.
Nella figura sono rappresentate le Moire Cloto e Lachesi intente a tessere il filo del fato. La Moira Atropo siede nell’attesa inesorabile di reciderlo – John Strudwick, A Golden Thread (Un filo prezioso), 1885 (olio su tela).
[1] Il mito di Er è uno dei miti descritti nelle opere del filosofo greco Platone. Narrato in una delle sue opere più ampie, La Repubblica, in conclusione del Libro X, l’ultimo[1], è considerato uno dei più importanti miti escatologici dei dialoghi di Platone; i suoi contenuti sono ispirati in maniera rilevante dal mito orfico e pitagorico della metempsicosi, ma contiene anche l’affermazione di una nuova responsabilità morale nei confronti del proprio destino dopo la morte.
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Grazie per l’attenzione
Dott.ssa Giulia Iolanda De Carlo
Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalitico
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